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Storia di Zorzi il Greco che vide l’Apocalisse nucleare

Ott 4, 2022

AGI – Volete sapere come sarà la fine del mondo, quella nucleare? E’ già tutto scritto, è già tutto dipinto. Su un muro, eretto su un luogo che pare il trionfo della natura e della pace dell’animo. Invece no: a Monte Athos, in uno dei monasteri dove da secoli monaci ortodossi pregano meditando nel silenzio sulla Rivelazione e sul compimento dei tempi, il Destino dell’uomo è segnato nella forma di un grande fungo, fatto di cenere e di fumo, che si alza dal suolo mentre dal cielo piovono creature orrende a colpire gli esseri umani. Lo dipinsero cinque secoli fa, ma non vuol dire: le profezie non hanno tempo.

Nemmeno quelle più terrificanti. Così, in questi giorni in cui il Papa implora la Russia affinché si fermi (La Russia? Pensate a cosa disse la Madonna a Fatima, a riguardo. Era il 13 luglio del 1917) mentre gli Usa ponderano la rappresaglia, torna in mente il monastero di Dionysiou, nella repubblica teocratica che si sporge sulle onde, a metà tra il Mar di Tracia e il Golfo di Cassandra. Nome più che appropriato, quest’ultimo, perché è qui che a Zorzi il Cretese, nel 1547, i confratelli chiesero di mettere al servizio del cenobio il suo pennello ispirato. E lui obbedì.

Lungo le pareti di Dionysiou, da allora, troneggia un ciclo d’affreschi dedicato all’Apocalisse di Giovanni. Patmos, del resto, non è così lontana, almeno idealmente. A lungo Zorzi riflettè su quelle pagine, che sono lo Svelamento di ciò che accadrà, ma anche racconto da tregenda. Soprattutto in un passo: Capitolo 9, versetti 1-11. Per gli esegeti della Fine del Mondo.

Eccolo, il passo: “Il quinto angelo suonò la tromba: vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’Abisso; egli aprì il pozzo dell’Abisso e dal pozzo salì un fumo come il fumo di una grande fornace, e oscurò il sole e l’atmosfera. Dal fumo uscirono cavallette, che si sparsero sulla terra, e fu dato loro un potere pari a quello degli scorpioni della terra. Queste cavallette avevano l’aspetto di cavalli pronti per la guerra. Avevano il torace simile a corazze di ferro e il rombo delle loro ali era come rombo di carri trainati da molti cavalli lanciati all’assalto. Il loro re era l’angelo dell’Abisso, che in ebraico si chiama Abaddon, in greco Sterminatore”

Allo Sterminatore il cretese Zorzi, non a caso, dipinse anche gli occhi e il volto, nel suo affresco per i monaci del Monte Athos. E il volto lo dipinse radiante, come a scatenare energie spaventose e sconosciute, mentre la colonna grigia si alza da terra e sale verso il cielo a creare oscene volute di morte e distruzione. Impossibile guardare il volto di Abaddon senza essere colti da un brivido: il vecchio Zorzi, cuore greco e sangue veneziano, aveva preso dal secondo l’amore del colore, ma dal primo una visione mistica del mondo e della sua caducità.

Per fortuna, non è questa l’unica volta in cui la mente umana ha provato a misurarsi con il mistero della fine dei tempi. Pensiamo a Giotto agli Scrovegni, che immaginò gli angeli accartocciare il sipario del mondo come fosse un cartoncino bristol. Ricordiamo il Belli, per cui quattro angioloni con le trombe in bocca si metteranno uno per cantone, poi si spegnerà la luce e buonasera.

Ma non manchiamo di rammentare i ragazzi napoletani che a Marcello D’orta, loro maestro nonchè registratore, assicuravano che Quel Giorno i bambini si sarebbero trasformati, immancabilmente, in farfalle.

Vox populi vox Dei, e chi è più popolo di un bambino napoletano? Non è detto, insomma, che Zorzi ci abbia visto giusto, in fondo in fondo. Non è detto che cali l’angelo sterminatore, nemmeno quello di Bunuel. Non è scontato nulla e può anche andare a finir bene, quando il Secolo si dissolverà in scintille. Ad ogni modo, qualora fosse il contrario, niente paura: vale sempre la saggezza dei suddetti ragazzi. Il quali, a richiesta specifica, riferendosi a Quel Giorno rispondevano: “Io speriamo che me la cavo”.

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