AGI – Nella sua prima uscita pubblica da quando Fratelli d’Italia ha vonto le elezioni, Giorgia Meloni ha citato Nutriscore, assicurando di volervi metttere mano. Se lo ha fatto è soprattutto perché parlava dal palco di Coldiretti, l’associazione che da sempre vede il sistema europeo di etichettatura come una spina nel fianco, arrivando a definirlo “fuorviante, discriminatorio ed incompleto” e accusandolo di “escludere dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta”.
Ma che cosa è Nutriscore?
Un semaforo in grado di dare il via libera o lo stop ad alcuni prodotti alimentari, con quel che ne consegue per l’impatto economico sui Paesi che ne sono produttori. In estrema sintesi, di questo si parla quando si cita il Nutriscore, il sistema di etichettatura in uso in Francia e ora al vaglio della Commissione Europea. Un sistema che non piace all’Italia, ma convince molto i nostri vicini d’oltralpe.
Il perché è presto detto: il Nutriscore assegna colori e lettere di riferimento in base alla salubrità degli alimenti, ovvero al livello di zuccheri, grassi e sale contenuti in 100 grammi di prodotto. Si va dal verde per gli alimenti sani, al rosso per quelli da mettere al bando; dalla lettera A, per i prodotti più salutari, alla lettera E per quelli nocivi.
10 REASONS WHY THE #NUTRISCORE CANNOT WORK
1) It is not true that the Nutriscore has been
approved by ’10 countries’, but rather
different #brands and #retailers use it for their
own economical benefit.#NoNutriscore #EU pic.twitter.com/V4Tr406hD2
— No-Nutriscore Alliance (@NoNutriscore)
November 29, 2021
Una scala di immediata comprensione, studiata come strumento per combattere l’obeistà e le malattie cardiovascolari. Uno schema a colori che, tuttavia, trascura alcune importanti sfumature. Ad esempio: in alcune bibite, gli zuccheri sono sostituiti da dolcificanti artificiali.
Sulla carta, quindi, sarebbero meno impattanti sull’organismo dell’olio extravergine d’oliva, ad esempio, che ha un più alto contenuto di grassi. A sviluppare questo sistema di etichettatura è stato il nutrizionista Serge Hercberg e del suo gruppo di ricercatori. In Francia, però, l’adozione del Nutriscore è su base volontaria: sono le singole aziende a scegliere se applicarlo alle etichette dei loro prodotti.
Dalla Francia, l’arcobaleno di Harcberg si è diffuso anche in Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Spagna. A opporsi all’etichetta è invece l’Italia assieme alla Repubblica Ceca, alla Svezia, alla Grecia, a Cipro, all’Ungheria, alla Lettonia e alla Romania. A sollevare dubbi sul Nutriscore, non c’è solo la scelta di mettere al bando grassi e zuccheri senza distinzione, ma anche il fatto che questo sistema dà informazioni su 100 grammi di prodotto, indifferentemente dalla dose consigliata per una dieta da considerare sana.
Per questa ragione l’Italia ha adottato lo schema denominato NutrInform Battery e lo propone anche a livello europeo in alternativa al Nutriscore: è l’indicazione grafica in etichetta della percentuale assunta di energia e nutrienti rispetto alla porzione di consumo consigliata dell’alimento.
All’interno di cinque batterie stilizzate viene riportata l’indicazione quantitativa del contenuto di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale della singola porzione. Il contenuto energetico è espresso sia in joule che in calorie. I contenuti di grassi, grassi saturi, zuccheri e sale sono espressi in grammi. Dopo una lunga trattativa, il Nutriscore non è entrato nel report della Commissione europea per la lotta al cancro, Beca, che, invece, cita la dieta mediterranea come uno degli stili di vita a cui fare riferimento per combattere la diffusione dei tumori e, più in generale, “delle principali malattie degenerative croniche”.