Le 125 odierne hanno la funzione di colmare un segmento che alcuni marchi lasciano scoperto o che addirittura non hanno mai calcolato, mentre le piccole ottavo di litro a cavallo tra gli anni 80 e 90 erano vere e proprie motociclette, importanti per il mercato e per i giovani motociclisti a cui erano destinate.
Viviamo un periodo dove la tecnologia, i mercati, la moda, sono sempre più vicini tra loro in trasformazioni sempre più rapide. Novità, crescita e una legge entrata in vigore nel 1996 che prescrive non più di 15 CV di potenza massima per i 125 cc, ha indotto le case motociclistiche più importanti a spostare l’attenzione dei motociclisti sui modelli di media e grossa cilindrata, abbandonando in parte i mezzi più piccoli destinati per la maggioranza agli adolescenti in transizione verso qualcosa di più consistente.
Finiva così l’epoca d’oro del 125 due tempi che nel decennio precedente ha raggiunto un climax invidiabile, portando tecnologia e cultura laddove fino a tutti gli anni settanta non era altro che un modo economico per spostarsi, figlio ultimo della motorizzazione di massa di tutte le classi sociali. Tra le moto ad aprire quel corso, la Laverda LZ con motore Zündapp, Gilera TG1, l’Aspes Yuma, il Malanca bicilindrico e di seguito Moto Morini, Garelli, Fantic Motor e la stessa Zündapp. Buoni tentativi, ma meno convincenti di quello che sarebbe venuto dopo a segnare per sempre un’epoca. Si tratta infatti della sfumatura di passaggio da un decennio all’altro, che ci porta dritti alle prime vere sportive del genere.
Viva l’Italia
Gilera, dopo la rivisitazione moderna dei suoi vecchi modelli, denominata RV, sforna quelli che saranno la spina dorsale della sua produzione come KK, KZ, MX1, MXR. Da questa base si arriverà poi alle prime storiche Race Replica come l’SP01 e l’SP02 degli anni 90.
A questo successo partecipa anche Aprilia che deve gran parte della sua fortuna alla produzione di quegli anni in cui diventerà l’azienda maestra del due tempi e leader nelle piccole cilindrate. Con il modello AF1 Project 108, inizia la serie di cui fanno parte AF1 Sintesi e Futura che per tutti gli anni 80 si sono mostrate moto affidabili e più accattivanti delle rivali. L’apice arriverà con la serie RS, evoluzione dei modelli precedenti e fotocopia della moto da Gran Premio dei primi anni 90. Celebre è la colorazione nera-Chesterfield, replica delle moto usate da Biaggi, Ruggia, Jean Michel Bayle e Reggiani.
Ma se proprio dovessimo pensare ad un 125 iconico nello stile e nel nome, la mente dei più ferrati sull’argomento andrebbe al 1990, anno di presentazione della Cagiva Mito. Prima di questa, la fabbrica dei fratelli Castiglioni aveva prodotto l’SST 125, ma il vero salto l’aveva compiuto con l’Aletta Rossa da enduro, grande rivale del Moto Morini KJ Kanguro, l’Aletta Oro e la Freccia disegnata da Massimo Tamburini. Quest’ultima somigliava alla Ducati Paso, sprigionando un fascino da grande motocicletta. L’arrivo della Mito mise in chiaro il concetto che la moto 125 due tempi aveva possibilità infinite di sviluppo e che sarebbe potuta essere la vera alternativa ai modelli di media cilindrata. Moderna, ciclisticamente valida, sembrava la moto da Gran Premio della classe regina. In pieno stile Castiglioni, uscì nelle colorazioni Lucky Explorer celebrativa del successo di Edi Orioli alla Dakar e Lawson replica, con il numero sette stampato sul codone, in onore del primo pilota a portare la casa varesina alla vittoria in 500. Altre colorazioni racing e una restyling di fine anni novanta porteranno la Mito a seguire le linee delle sportive Ducati, altro importante marchio di famiglia di quel periodo.
Arrivano i giapponesi
Contemporaneamente al fermento che vedeva modelli delle nostre aziende spuntare come funghi con versioni aggiornate praticamente ogni sei mesi, i giapponesi non potevano restare a guardare. I dirigenti del sol levante volevano partecipare a questo festival fatto di monocilindrici da 30 CV, con scarico ad espansione e profumo di miscela. Dalle loro sedi italiane uscirono i primi modelli destinati al nostro mercato che, sulla scia del successo dei loro marchi già dagli anni 70, incontrarono buona accoglienza.
Dividendo in due settori questa categoria, Honda fece uscire contemporaneamente la CB125 stradale e l’XL125 enduro. La seconda ebbe un iniziale successo individuata come l’omologa delle cilindrate superiori della casa dell’ala che partecipavano ai raid africani con buoni risultati, seguita poi dal modello MTX-R che ricordava ancor più da vicino le maggiori Transalp, Africa Twin e Dominator. Il passo stradale lo fecero con l’NS-F, vera e propria naked per come la intendiamo ancora oggi e l’NS-R, che con lo stesso propulsore proponeva la versione carenata. Il 1988 fu la volta dell’NSR che poteva vantare 31 CV dichiarati e uno stile inconfondibile che l’avvicinava di molto alle grosse CB e VFR.
Paradossalmente, Honda è stata le prima e l’unica a mettere in strada dei 125 che potessero competere con lo strapotere delle nostre aziende. In Yamaha, con il modello TZR125 prodotto negli anni 80 non ebbero fortuna, ma fondamentalmente ad Iwata si impegnarono su questo tema e non presero le decisioni adeguate ad essere competitivi sul mercato. Esteticamente inferiore alle concorrenti e con uno stile già obsoleto al momento del lancio, per i risultati si dovette attendere il 1991. In ritardo sugli altri la TZR125 R era un’altra moto rispetto la precedente, moderna e finalmente accattivante. Questo modello toccò l’apice con la versione Marlboro replica che riproduceva la livrea della 500 GP di Wayne Rainey, con tanto di numero 1 impresso, celebrativo dei tre titoli mondiali conquistati dal californiano.
Anche Suzuki, che già aveva una buona tradizione con i motori due tempi 500 e 250, decise di allinearsi alle connazionali producendo l’RG Gamma 125. Bella, moderna, uguale alla RGV Gamma 250, molto apprezzata dai motociclisti esperti, fu solo un tentativo di completare il proprio catalogo e come nel caso di Yamaha dieci anni prima, i vertici di Hamamatsu non credevano veramente nella categoria e con le normative in arrivo, colsero l’occasione per non dare seguito al progetto.
L’arrivo del terzo millennio
Il terzo millennio ha ridotto definitivamente lo spessore di quel periodo e di quel concetto di moto che, stando all’andamento attuale, è praticamente impossibile che possa tornare in auge. Purtroppo sembra normale, scontato e soprattutto che la tecnologia abbia portato benefici tali da far credere che non varrebbe più la pena sporcarsi con olio da miscelare alla benzina, con il rischio di grippare. Di fare i conti con scarichi rumorosi e fumanti di tutti i colori e motori che scaldano tantissimo a regimi folli.
Eppure Jan Vitteven, maestro indiscusso del due tempi, per anni alla corte di Noale e responsabile dei motori da corsa che hanno vinto titoli nelle classi 125 e 250 con i migliori piloti in circolazione, ha ribadito più volte che l’obbligo di ridurre la potenza dei mezzi immatricolati e la scelta in primis di Honda di far morire quella categoria in virtù di aprire altri mercati, ha concluso la storia di un concetto che avrebbe avuto tante possibilità di sviluppo e innovazione che possiamo solo immaginare. E pensate un po’, oggi non inquinerebbe come crediamo.