AGI – Roma è un arcipelago di calore, con ‘isole’ a macchia di leopardo concentrate soprattutto nella zona a est del Tevere. La differenza di temperature tra un’area e l’altra a volte supera anche i 20 gradi. Si passa, ad esempio, dai 51,4 gradi della stazione Termini ai 32 del Parco della Vittoria. Anomalie termiche – isole calde e isole fresche – che riguardano il 15,5% della superficie complessiva della Capitale. È quanto rileva uno studio elaborato da Marco Morabito, ricercatore del Cnr, Istituto per la BioEconomia insieme alla collega Giulia Guerri (assegnista di ricerca) in cui sono stati analizzati i dati satellitari della Nasa (Landsat8) in grado di stimare la temperatura superficiale (land surface temperature, Lst) con una risoluzione spaziale di 30 metri.
Sono, quindi, state selezionate le immagini disponibili dal 2017 al 2022 relativamente ai tre mesi estivi. È poi stata applicata una metodologia statistica-spaziale per individuare gli hot-spot termici superficiali. Tra le zone più calde di Roma (hot-spot) figurano dunque le stazioni ferroviarie (Tiburtina, Termini, Ostiense, Tuscolana) ma anche piazza San Pietro, nella città del Vaticano e l’area attorno a via Casilina dove sabato scorso è scoppiato il maxi incendio e alcune zone dell’Eur.
Le ‘isole’ sono definite da una serie di punti caratterizzati da valori di temperatura superficiale omogeneamente elevati o bassi. Nella Capitale il caldo segue la morfologia del terreno, l’asfalto e il cemento, le arterie stradali più importanti.
Il termometro sale a causa del traffico, dell’impermeabilizzazione del suolo, nei grandi piazzali, nei depositi a cielo aperto. Trappole di afa sono poi i capannoni industriali e le grandi costruzioni, una sorta di ‘canyon’ che trattiene il calore.
C’è chi suda senza sosta ma c’è anche chi dal caldo non è soffocato. Stessa città, infatti, ma clima diverso da quartiere a quartiere con escursioni termiche che possono superare i 20 gradi. E il verde si conferma l’elemento chiave per combattere l’afa che dopo una breve tregua tornerà ancora più intensa tra qualche giorno.
Si respira, ad esempio, nell’area del Parco della Vittoria, una della zone più fresche di Roma (cool-spot) come il Pincio, il Villaggio Olimpico o il quartiere Parioli. “Non bisogna piu’ pensare al fenomeno classico dell’isola di calore – ha spiegato Morabito all’AGI – dove c’è un centro più caldo rispetto alla periferia. Questo è un approccio un po’ datato. Si tratta invece di un arcipelago di calore, ossia di aree che presentano anomalie termiche che sono variamente distribuite dentro un’area urbana secondo le sue caratteristiche storiche e morfologiche”.
Le stazioni ferroviarie sono al centro delle isole di calore a Roma. Questi ad esempio i valori massimi delle temperature superficiali registrate nei mesi estivi: Tiburtina (48.3 C), Termini (51.4 C), Ostiense (49.4 C), Tuscolana (48.8 C), aree di deposito ferroviario (Tecnofer S.p.A. – deposito Atac Magliana Metro B e Roma Lido) in zona Eur (50.0 C). Sempre all’Eur (zona Municipio XI) si raggiungono 52 gradi nell’area industriale lungo il Tevere nei pressi di viale Egeo.
Anche piazza San Pietro con 48 gradi è un’isola di calore dentro alla città del Vaticano dove le aree hot spot ricoprono il 28.8% della superficie totale mentre il 23,1% sono cool spot (quindi fresche).
Tra le prime a studiare le isole di calore nella Capitale è stata Lorenza Fiumi, ricercatrice del Cnr e ora anche per l’Istituto di ingegneria del mare (Inm). La sua ultima ricerca, nel 2010, fu condotta con un super sensore chiamato “Mivis” piazzato su un aereo che sorvolando la città da 1500 metri elaborò immagini con un pixel di 3 metri per 3 metri.
Ora il sensore è in pensione (mancano fondi per un suo aggiornamento) ma le fondamenta delle ricerca sono ancora valide. Le alte temperature – queste le conclusioni dello studio – dipendevano dalla concentrazione di superficie impermeabile (ovvero che non assorbe le acque piovane non permettendo la rigenerazione della falda acquifera) come il cemento e l’asfalto.
“Questa ricerca – ha spiegato Fiumi all’AGI – può essere ancora attuale nel senso che l’impermeabilizzazione dei suoli è un fenomeno irreversibile, non si torna indietro. Una ricerca simile anche se con sensori meno potenti sta proseguendo nell’ambito di un accordo bilaterale con la Georgia”.