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I casi di epatite nei bambini scatenano le teorie novax ma il vaccino non c’entra niente

Apr 23, 2022

Le autorità sanitarie di molti paesi stanno cercando di capire le ragioni per un’accresciuta frequenza di casi di epatite anche molto grave in bambini da 10 anni in giù. I casi, ormai oltre 130, sono per il momento stati identificati principalmente in Scozia e Inghilterra, ove sono descritti oltre un centinaio di essi, e poi in paesi come Israele, gli USA, la Danimarca, l’Irlanda, la Spagna, l’Olanda e, da ultimo, anche l’Italia, ove sono emersi alcuni pochi casi sospetti. In tutti i casi, si tratta di epatite occorsa in bambini sani, per grandissima parte non vaccinati (nel Regno Unito, tutti), che non risultano positivi per nessun epatovirus (A, B, C, D oppure E).

Sebbene l’epatite non sia sconosciuta nei bambini, a colpire in queto caso è la severità e il numero dei casi; per quanto riguarda quest’ultimo dato, tuttavia, l’anomali è soprattutto al momento nel Regno Unito, perché in altri paesi – per esempio USA e Israele – i casi identificati sono pochi e nell’arco di molti mesi. Come tocca sempre più spesso fare in questo periodo, è bene innanzitutto ribadire cosa non sappiamo: non è noto quale sia la causa delle epatiti osservate, né è ancora certa la sua reale prevalenza (perché si stanno investigando i casi su scala nazionale solo da poco).

Le speculazioni circa un eventuale effetto della mancata esposizione dei bambini a comuni patogeni, a causa delle misure non farmacologiche per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, sono in questo momento prive di qualsiasi fondamento fattuale, e sono un’ipotesi come un’altra; allo stesso modo, il legame con un’infezione da adenovirus – e particolarmente da adenovirus 41, noto per causare disturbi gastrointestinali nei bambini – è nulla più che un’ipotesi di lavoro, basandosi solo sull’avvenuta identificazione in molti dei casi osservati, in un periodo tuttavia di elevata circolazione adenovirale. A complicare le cose, c’è il fatto che l’infezione da SARS-CoV-2 è nota per essere associata a conseguenze epatiche negli adulti in un alto numero di casi, ed in una coorte di soggetti deceduti il virus è stato trovato nel 69% dei tessuti epatici ottenuti per autopsia, oltre che essere stato correlato a disfunzionalità epatica in molti fra i pazienti sopravvissuti.

Pertanto, come ho risposto ieri al giornalista Gerardo D’Amico, la verità è una sola: al momento non sappiamo cosa stiamo osservando, tranne il fatto che non è dovuto alla vaccinazione contro COVID-19; ognuno vuol tuttavia iscrivere le epatiti osservate nella propria narrazione favorita, dai novax – per i quali è certo che questa sia la conseguenza predetta delle vaccinazioni nei bambini – a chi ha protestato contro le chiusure, per cui le epatiti sono conseguenza della mancata maturazione immunologica – fino a più fantasiosi individui, che intravedono un legame tra vaccino Astra Zeneca, basato su Adenovirus, e mutazione di qualche adenovirus preesistente, divenuto più pericoloso. Lo spettro delle “spiegazioni” sin qui fornito va da ipotesi non provate, ma non impossibili, fino a franche sciocchezze, contraddette dai dati o prive di verosimili meccanismi perché possano verificarsi; io inviterei i miei lettori a lasciar da parte ogni ipotesi, per il momento, attendendo dati sperimentali che non tarderanno, prima di abbracciare qualunque idea circa la causa di quanto osserviamo, nonché la sua entità, prevalenza e gravità. E lo stesso invito, ovviamente, mi permetto di rivolgerlo ai giornalisti: per i fatti scientifici, almeno, lasciamo da parte gli scoop, e badiamo al sodo.

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