AGI – La coincidenza è “uluru” che in una lingua aborigena significa “strano”: una ventina di giorni prima dell’annuncio del suo ritiro, Ashleigh Barty, per tutti Ash, l’australiana numero 1 che ha clamorosamente annunciato il ritiro dal tennis, era ad Ayers Rock, il colossale monolite rosso nel cuore dell’Australia. Il cui nome originale è appunto “Uluru”, “strano“.
Come la scelta improvvisa che la tennista ha comunicato con un video su Instagram: lasciare lo sport che ti ha dato ricchezza e gloria a un mese dai suoi 26 anni “per inseguire altri sogni”. La stessa parola (“sogno”) con cui Ash aveva commentato la sua visita ad Ayers Rock e che ha utilizzato anche per giustificare la sua decisione: “Ora per me è il momento di inseguire altri sogni“.
E tanto per chiudere il cerchio: Ayers Rock è stracolmo di una simbologia che nella mitologia del luogo rimanda all’era dei sogni. E a ben vedere la “stranezza” della sua decisione (al netto di motivazioni fisiche o psicologiche cui lei non ha fatto cenno) è tale solo se si guarda alla vita di una ragazza di 26 anni con una logica solo agonistica o solo commerciale.
Cambiando prospettiva e pensando invece a una giovane donna sensibile e intelligente che prova un insopprimibile desiderio di vivere e respirare l’aria pura dell’outback australiano senza dover scappare via per correre ad allenarsi (o allenarsi correndo), allora sulla vicenda scende una luce diversa, non un’ombra. Che la Barty fosse dotata di una sensibilità forse confinante con la fragilità era risaputo.
Del resto un rovescio slice come il suo così efficace, profondo, affilato come una lama, non poteva che nascere da una personalita’ costituita anche da sottigliezze piu’ che dalla sola potenza o dalla sola resilienza al gioco avversario. A 17 anni, nel 2014, mollò tutto. Era già un’ottima doppista. Per diciassette mesi fece altro, si inventò professionista del cricket, così come Michael Jordan si dette al baseball quando decise di abbandonare i Bulls e Michael Schumacher si cimentò con le moto in Superbike dopo l’addio alla Ferrari e alla F1.
Il suo allenatore di allora Jason Stoltenberg (quello che aveva perso la finale di Wimbledon junior contro Diego Nargiso nell’87 e poi fu coach di Lleyton Hewitt) disse che l’aveva vista svuotata, depressa. Ma come Jordan e Shumy tornò nel suo circo originario, il tennis, un anno e mezzo dopo. Guidata e consigliata da Casey Dell’Acqua, la tennista sua connazionale a cui affidato in video la sua decisione.
I sintomi che l’hanno portata a questo posso sono stati evidenti nel 2020, prima che la pandemia bloccasse il mondo, quando dopo una sconfitta in semifinale a Melbourne Ash si presentò in conferenza stampa con la nipotina in braccio. Era il tentativo di dare un’immagine a ciò che lei aveva piu’ volte ribadito? Che il tennis era un modo di vivere ma non il criterio che guida la vita? Evidentemente lo era. Chissà.
AGI – La coincidenza è “uluru” che in una lingua aborigena significa “strano”: una ventina di giorni prima dell’annuncio del suo ritiro, Ashleigh Barty, per tutti Ash, l’australiana numero 1 che ha clamorosamente annunciato il ritiro dal tennis, era ad Ayers Rock, il colossale monolite rosso nel cuore dell’Australia. Il cui nome originale è appunto “Uluru”, “strano”.
Come la scelta improvvisa che la tennista ha comunicato con un video su Instagram: lasciare lo sport che ti ha dato ricchezza e gloria a un mese dai suoi 26 anni “per inseguire altri sogni”. La stessa parola (“sogno”) con cui Ash aveva commentato la sua visita ad Ayers Rock e che ha utilizzato anche per giustificare la sua decisione: “Ora per me è il momento di inseguire altri sogni”.
E tanto per chiudere il cerchio: Ayers Rock è stracolmo di una simbologia che nella mitologia del luogo rimanda all’era dei sogni. E a ben vedere la “stranezza” della sua decisione (al netto di motivazioni fisiche o psicologiche cui lei non ha fatto cenno) è tale solo se si guarda alla vita di una ragazza di 26 anni con una logica solo agonistica o solo commerciale.
Cambiando prospettiva e pensando invece a una giovane donna sensibile e intelligente che prova un insopprimibile desiderio di vivere e respirare l’aria pura dell’outback australiano senza dover scappare via per correre ad allenarsi (o allenarsi correndo), allora sulla vicenda scende una luce diversa, non un’ombra. Che la Barty fosse dotata di una sensibilità forse confinante con la fragilità era risaputo.
Del resto un rovescio slice come il suo così efficace, profondo, affilato come una lama, non poteva che nascere da una personalita’ costituita anche da sottigliezze piu’ che dalla sola potenza o dalla sola resilienza al gioco avversario. A 17 anni, nel 2014, mollò tutto. Era già un’ottima doppista. Per diciassette mesi fece altro, si inventò professionista del cricket, così come Michael Jordan si dette al baseball quando decise di abbandonare i Bulls e Michael Schumacher si cimentò con le moto in Superbike dopo l’addio alla Ferrari e alla F1.
Il suo allenatore di allora Jason Stoltenberg (quello che aveva perso la finale di Wimbledon junior contro Diego Nargiso nell’87 e poi fu coach di Lleyton Hewitt) disse che l’aveva vista svuotata, depressa. Ma come Jordan e Shumy tornò nel suo circo originario, il tennis, un anno e mezzo dopo. Guidata e consigliata da Casey Dell’Acqua, la tennista sua connazionale a cui affidato in video la sua decisione.
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I sintomi che l’hanno portata a questo posso sono stati evidenti nel 2020, prima che la pandemia bloccasse il mondo, quando dopo una sconfitta in semifinale a Melbourne Ash si presentò in conferenza stampa con la nipotina in braccio. Era il tentativo di dare un’immagine a ciò che lei aveva piu’ volte ribadito? Che il tennis era un modo di vivere ma non il criterio che guida la vita? Evidentemente lo era. Chissà.