AGI – Scappare dalle bombe, scappare da una guerra che non si ha nessuna voglia di combattere. Al confine tra la Romania del Sud e l’Ucraina c’è un solo modo per farlo: attraversare il Danubio, poco prima che sfoci nel Mar Nero, o col traghetto o a nuoto. In questo secondo caso anche a costo di rischiare di morire dentro le sue acque blu e però, dicono i locali, molto infide a causa dei mulinelli, oltre che ghiacciate. Non ci sono ponti in questa zona, il fiume è l’unica via di fuga.
L’AGI ha raccolto due storie di chi c’è riuscito. La prima ha come protagonista Koko, un pescatore di Ceatalchioi, ottocento abitanti separati da un minuscolo traghetto e da una strada sterrata di un paio d’ore da Tulcea, il centro dove stanno confluendo a migliaia i profughi. Tramite un poliziotto di frontiera che traduce il rumeno, riusciamo a metterci in contatto con lui via telefono. “Stavo andando sulla mia barca – spiega – quando ho notato un ragazzo vestito, senza muta, che annaspava. L’ho imbarcato e portato a casa mia. Era in ipotermia”.
Nelle poche centinaia di metri che separano la riva destra in pace e quella sinistra in guerra, il ragazzo era vicino al punto di freddo che blocca il cuore.
Il pescatore ha avvertito la polizia di frontiera rumena e nel frattempo si è attivata anche quella ucraina che era nei paraggi ma si è accorta del giovane solo dopo il suo recupero. Andry, 32 anni, vive in Germania con la sua famiglia e ha doppia cittadinanza.
Era andato in Ucraina a trovare i nonni prima che scoppiasse la guerra, prendendosi qualche giorno di ferie. A quel punto è rimasto intrappolato perché è entrata in vigore la legge marziale per chi si fosse sottratto a un’eventuale chiamata alle armi. Terrorizzato, si è lanciato in acqua convinto di potercela fare ad arrivare sulla riva destra della pace. Per qualche ora, dopo il salvataggio, la polizia ucraina ha cercato di ripotarlo a casa ma i colleghi rumeni se lo sono tenuto, sostenendo che era più vicino alla loro riva. Ora ha fatto richiesta di asilo e si trova in un centro di accoglienza nella città di Galati.
A Plauru, a pochi passi da dove Andry è stato strappato alla foga del fiume, l’anziano ex operaio dell’industria mercantile navale Ian, colbacco e occhi azzurri accesi, narra come abbia fatto irruzione nella quiete del suo piccolo villaggio un giovane uomo. “Erano le sette e mezza di sera del giorno dei bombardamenti nella città ucraina di Izmail. Abbiamo sentito un boato e le sirene e dopo non molto è sbucato dal fiume un uomo con uno scafandro”.
A vedere la scena c’erano anche Gheorghe e Adriana, la moglie di Ian, ex infermiera. “Lei ha avuto un ictus e ha bisogno di una stampella per camminare ma è riuscita a soccorrere il ragazzo. Gli abbiamo dato coperte e tè caldo, poi abbiamo chiamato ambulanza e polizia”.
I tre abitanti di Plauru vivono in case molto modeste allevando galline e cavalli. “Non siamo preoccupati per la guerra, qui stiamo tranquilli. siamo in Europa” dice Ioan spiegando, mentre fa bollire pesce e maiale in due pentole, che sua figlia “prima faceva la pasticccera e ora la badante a Padova”.
Si congeda in modo molto caloroso provando a regalarci dei fagiani cacciati da lui. La guerra, così vicina, non sembra aver oscurato la sua serenità.