AGI – La fila degli ultimi disperati in attesa di un hamburger di McDonald’s fa venire in mente una delle centomila scritte che si potevano leggere sul Muro di Berlino: “Ultima Coca-Cola prima di Tokyo”.
Il pendolo della Storia oscilla, e qualche volta torna indietro. Si dice che Putin sogni l’Urss, e in qualche modo in effetti la sta ricostruendo, ma il problema è un altro: quale Urss, quella del 1945 o quella del 1918? Nel 1945 era lo stato più esteso del mondo (un sesto delle terre del Pianeta), e controllava direttamente mezza Europa.
Nel 1918 l’Unione Sovietica, che così ancora non si chiamava, era ben altra cosa, molto più piccola ed ammaccata, tanto che con la Pace di Brest-Litovsk rinunciava proprio all’Ucraina dichiaratasi indipendente. Il conflitto di questi giorni scuote ed agita pesi come confini, e vuole ridisegnare la cartina del Continente.
Come, è tutto da definire. Il domino delle nazioni è un gioco ad alto rischio. Lo si è visto con l’unico altro conflitto che ha insanguinato l’Europa dopo il secondo conflitto mondiale, vale a dire la serie di guerre dell’ex Jugoslavia.
Paese neutrale, anzi il fondatore e uno dei leader dei Non Allineati, non resse all’urto della morte di Tito frantumandosi nelle sue singole componenti.
Finita l’unione degli Slavi del Sud, riemersero le vecchie appartenenze ottocentesche. La Slovenia, che ebbe a dover subire una guerra di soli cinque giorni, rientrò subito nell’orbita della Mitteleuropa, che una volta era rappresentata dall’Impero Austro-Ungarico.
Più tortuoso e complicato il cammino della Croazia, per non dire della sventurata Bosnia-Erzegovina: la sua annessione a Vienna all’inizio del Novecento aveva aperto la strada alla Grande Guerra, il suo martirio aprì la porta alla penetrazione nei Balcani occidentali dell’erede dei grandi blocchi imperiali di molti anni prima, l’Occidente nella sua duplice rappresentazione di Unione Europea e Nato.
A est, alla Russia alleata storica e non solo per ragioni di geopolitica ama anche di affinità culturale, continuava a guardare la sola Serbia, forte sulle prime della velata comprensione della Francia (altro alleato storico) ma soprattutto spinta da un isolamento dettato dalla generale antipatia generale per Slobodan Milosevic, per certi versi antesignano di Putin. La battaglia di Kosovo Polje e quella di Kulikovo, del resto, sono quasi coeve.
Sarajevo e il suo assedio fanno per la Nato più di quanto essa non potesse sperare. Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia (tutti membri del Patto di Varsavia fino a pochi anni prima) entrano nell’alleanza e si avviano verso l’ingresso nell’Unione Europea.
E questa, abituata ad essere a 12 o poco più, si ritrova all’improvviso ad avere 28 stati membri.
I problemi di digestione si faranno sentire ogni volta che bisogna decidere in materia di migranti o di bilanci. Contemporaneamente Bruxelles (intesa qua come quartiergenerale dell’Alleanza Atlantica) lancia l’offensiva sul Kosovo, nell’impotenza di una Russia costretta ad assistere.
Putin al potere ci è appena arrivato, non è pronto ancora per reagire. Il caso di un sottomarino nucleare di Mosca che va a fondo nel Baltico in quel periodo è la miglior rappresentazione dello stato di inferiorità. Viene da chiedersi quindi cosa accadrà ora che la flotta russa scorrazza per un Mediterraneo in cui l’influenza del Cremlino arriva fino in Libia, per non dire dei tank che sparano alla periferia di Kiev.
Dipenderà molto da quando ci si fermerà, e dove. Intanto l’Occidente nelle sue due facce, Nato e Ue, si e’ rinsaldato.
Complice anche la Brexit e la mancanza di un nemico comune generalmente riconosciuto, negli ultimi anni avevano attraversato un periodo di soul-searching.
Putin ha dato alla Nato il suo avversario e all’Ue una nuova ragione di vita: due elementi decisivi indipendentemente dall’eventuale finlandizzazione dell’Ucraina.
Continueranno ad essere attrattive per chi è rimasto fuori: fuori c’è un orso che ha mostrato gli artigli. Moldavia, Finlandia e Svezia hanno rispettivamente ottime ragioni per sentirsi spinte verso un ombrello di sicurezza comune, le modalità di questa appartenenza saranno pane per i diplomatici dell’immediato futuro.
A parte il discorso della Turchia, membro Nato con il compito speciale di vigilare sugli Stretti ma respinto da decenni dall’Ue, tanto da flirtare con il Cremlino stesso anche per via della crisi siriana.
Un conto però è il Cremlino lontano dai Mari Caldi, un altro il Cremlino che torna in possesso della Crimea, un altro ancora il Cremlino che controlla tutta la sponda nord del mar Nero da Odessa a Sochi. Anche il più amichevole dei vicini, se cresce troppo, diventa ingombrate.
La partnership potrebbe iniziare a tremare anche in Medioriente: Ankara ha approfittato delle primavere arabe per avviare una lenta penetrazione in territori una volta ottomani, Mosca l’ha aiutata.
Ma si legge su tutti i libri di storia che Zar e Sultano facevano scintille a Gerusalemme, e ne approfittavano inglesi e francesi. Inoltre c’è da considerare che le scosse dell’Ucraina si registrano quotidianamente a Baku come a Almaty e sull’Altaj. Mosca ritorna, ed ha le sembianze sinistre del Piccolo Padre.
La storia ha ripreso un corso che si credeva esaurito, e invece era un fiume carsico. Si chiama domino delle nazioni oppure, piu’ semplicemente, Grande Gioco. Ma per giocarci non basta essere dei semplici apprendisti.