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Putin, lo zar da Vicenza: una leggenda che non piace più

Mar 9, 2022

Tutto ebbe inizio più di vent’anni fa, quando il mondo era un altro. Avete presente quel lontano parente con contorni da romanzo? Ecco: Franco da Santorso (provincia di Vicenza) è il personaggio d’esordio. Imprenditore con affari in Russia, la convinzione di vantare un ramo di famiglia finito laggiù. E quel cognome, suggestione perfetta: Putin. Che però nell’entroterra veneto si pronuncia con l’accento sulla i. Vuol dire putèo, bambino. Altro che Vladimir da Leningrado. Franco sosteneva pure di assomigliargli, tanto da venir confuso per il fratello del presidente – accadde alla frontiera serba, pare: lo trattarono con i guanti. E insomma. La leggenda narra che l’ultimo erede degli zar affondi le radici nel vicentino. Mica è mitomania del singolo. “L’hanno rilanciata gli stessi russi, l’ultima volta nel 2016: cercavano indizi, sono venuti qui in ambasciata con una troupe di giornalisti e lanciarono un servizio”, su Ntv, Gazprom-Media. “Tutto molto cordiale, rilassato. Con quelle cinque lettere sul nostro campanello, non poteva essere altrimenti”.

 

 

Oggi Franco non c’è più. Parla il suo biscugino Riccardo, ingegnere. Che per la prima volta ammette un po’ di disagio: “Ho sempre avuto ammirazione per il politico, perché incarnava uno spirito di identità molto forte. Ma quel che sta succedendo in Ucraina è inaccettabile: ripudiavo le bombe degli americani in Iraq, la stessa cosa provo per Putin ora. Portando lo stesso cognome ci si sente un po’ coinvolti. In passato non dava fastidio. Faceva fantasticare”. Come e quando di preciso, poco importa. È il bello della tradizione orale. Del verosimile, rifinire continuo. Secondo le vecchie ricerche di Franco, il primo Putin italiano a emigrare in Russia fu nel Settecento per combattere nell’esercito zarista, “o lavorare come manovale per le cattedrali di San Pietroburgo”, corregge Riccardo. Il quotidiano generalista Moskovskij Komsomolets scriveva nel 2005 che l’anello di congiunzione provenisse in realtà da Costabissara (sempre in orbita Vicenza) cercando fortuna nel tardo Ottocento: c’è del Putin anche in chi assemblò i binari della Transiberiana. Mentre la moglie di Mario, pensionato, spiega che il cognome sia originario dell’altopiano di Asiago “e dopo la Prima guerra mondiale arrivò in Urss grazie a un gruppo di scalpellini”. Strada difficile, questa: è provato che il nonno paterno di Vladimir fosse un cuoco al servizio di Lenin e Stalin. Amen.

 

Il resto si perde nella storia. Palazzo Verlato Putin è una sfarzosa villa veneta del Cinquecento, tuttora in uso. E c’è perfino un libro, curato dai discendenti vicentini per illustrare la tesi genealogica. Scava fino al 1400, quando tale Bartolomeo venne ribattezzato putìn forse per qualche connotazione fisica: a ritroso, il più plausibile antenato del presidente russo sarebbe Giuseppe, nato nel 1801. “Guardate la foto. Qualcosa in comune hanno, no?”. Verrebbe quasi da crederci. La pensano così, loro. Una cinquantina di famiglie in tutta la provincia, più qualche distaccamento tra Venezia e Treviso. Giovani e meno giovani. Fieri e imbarazzati. Omonimie nell’omonimia: un secondo Mario Putin, presidente di Serenissima ristorazione, ci tiene a sottolineare di non avere alcun grado di parentela. Né con l’ex funzionario del Kgb, né col ceppo emigrante. Altri invece ne fanno una questione nazionale. Adelina è dj, speaker radiofonica e nel 2015 si candidò alla regione Veneto con Fratelli d’Italia: “Votare Putin in Italia? Ora puoi”. Slogan da brividi. Le rimane il cognome tatuato sul braccio sinistro. In cirillico, a scanso di equivoci.

 

 

Ma i tempi sono cambiati. In fretta. Anche nella vita di tutti i giorni. “Ma va là, sarai mica parente dello zar? Era la classica battuta simpatica che la gente ci faceva per rompere il ghiaccio”, interviene Federico, geometra. “Una volta ci arrivavano telefonate incuriosite. Ora Putin”, da pronunciare sempre con intonazione alla veneta, “è diventato un cognome scomodo. Pazienza, conta la persona”, conferma Riccardo – qui è come un grande villaggio: anche le nuove generazioni si intrecciano fra loro, ognuno vuole dire la sua. “A lavoro è un continuo. Presentazioni, strette di mano”. Ed ecco l’ombra di Vladimir. “Mi dispiace se dall’altra parte noto un irrigidimento. Noi cosa c’entriamo?”. C’è da scommetterci: anche il Cremlino ormai – Italia paese ostile – depenna l’eponimo del nordest dalla propaganda di regime. A Vicenza, l’importanza di chiamarsi Putin è venuta meno alle porte di Kyiv. Meglio pensare al bambin.

 

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