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Dalla Costa Concordia a Palamara, come si costruisce un capro espiatorio. Dialogo con Maurizio Catino

Gen 13, 2022

Dieci anni fa a largo dell’Isola del Giglio si consumava uno dei più tragici incidenti della storia italiana. Di quel giorno rimane impressa la drammatica immagine della Costa Concordia inabissata su un lato e la voce imperante del comandante della capitaneria De Falco che intima a Francesco Schettino di ritornare sulla nave, nella famosa registrazione che fece il giro d’Italia.

Proprio a partire dalla controversa figura dell’ex comandate della nave da crociera e sulla sua vicenda mediatico-giudiziaria si sviluppa l’ultimo libro di Maurizio Catino, dal titolo “Trovare il colpevole. La costruzione del capro espiatorio nelle organizzazioni”, il Mulino 2022, in uscita a febbraio.

Secondo il docente di Sociologia dell’Organizzazione presso l’Università di Milano-Bicocca, gli incidenti complessi come quello della Costa Concordia non possono essere ricondotti esclusivamente a un errore umano: “Anche se è presente, l’errore dell’uomo non è ciò che spiega ma è ciò che deve essere spiegato”, dice Catino al Foglio. “In altre parole occorre fare analisi più complesse che mettano in luce le criticità strutturali del sistema. L’incidente e la gestione dell’emergenza hanno aperto uno squarcio su una serie di criticità e hanno determinato come conseguenza quella di spostare l’attenzione persecutoria verso il comandante della nave”.

     

Sulla vicenda Concordia il capro espiatorio designato è stato Francesco Schettino. Le responsabilità del comandante ci sono, sia chiaro, ma Schettino avrebbe pagato responsabilità anche in capo ad altri, afferma Catino: “Il capro espiatorio organizzativo non è uno che non c’entra con l’evento: c’entra eccome ma su di lui per convenienza ricadono colpe anche di altri. Ciò che sostengo è che nel caso del naufragio della Costa Concordia ci sia stata una convergenza di interessi, seppur non intenzionale. Non è stata pianificata ma ognuno portando avanti i propri interessi individuali ha contribuito alla costruzione del capro espiatorio”.

Nel suo libro, il docente spiega che il naufragio è stato considerato “come un incidente isolato e non come l’esito inatteso ma prevedibile di una pratica rischiosa come quella dell’inchino. Come se l’evento fosse stato un fulmine a ciel sereno, causato dall’impazzimento improvviso di un comandante con un’eccellente biografia professionale, tanto da figurare in un post di encomio sul sito della compagnia proprio il giorno dell’incidente. Invece, è stata una ‘sorpresa prevedibile’, un disastro annunciato che ha avuto un lungo periodo di incubazione. Non si è trattato soltanto di errori e fallimenti a livello individuale. Tali eventi furono favoriti al contempo da criticità organizzative e dalla sottovalutazione dei rischi da parte dei controllori e dei regolatori”. 

 

Del resto la ricerca di un colpevole da dare in pasto all’opinione pubblica, da Dreyfus in poi, ha accompagnato l’intera storia umana ed è sintomo di un bisogno quasi atavico dell’uomo di cercare di trovare risposte immediate a problemi complessi e, più nello specifico, di giustificare ciò che rappresenta il male scaricando le responsabilità sui gesti sconsiderati di un individuo o un gruppo di persone – il più delle volte dipinte come distanti dal corretto modello di comportamento accettato dalla società.

Proprio su quest’ultimo punto è dedicato un passaggio del libro che illustra i modi attraverso i quali la figura di Schettino sia stata stigmatizzata negativamente già all’indomani dell’incidente, affinché tutti gli altri attori coinvolti potessero svincolarsi dalle proprie responsabilità. La condanna morale e mediatica del comandante della Costa Concordia ha giocato un ruolo importante nella successiva sentenza penale: “Fin dall’inizio è stata avviata una costruzione dell’immagine di Schettino come essere immorale, veicolata soprattutto dai media e dalla procura – sottolinea Maurizio Catino – Già prima di una perizia sui fatti era chiaro chi sarebbe stato lui il colpevole designato. Questa immagine immorale del comandante ha orientato gran parte dell’inchiesta“.

La vicenda del comandante Schettino ripercorre quella tendenza tipicamente italiana di “sbattere il mostro in prima pagina” ancora prima che vengano emesse prove di colpevolezza, con il solo scopo di spettacolarizzare la notizia, arricchendola di dettagli molto spesso inutili ai fini delle indagini ma decisivi nell’indirizzare l’opinione pubblica.

Interrogato sulla questione il docente cita un altro caso che ha fatto scuola, vale a dire quello del giudice Palamara: “Il caso Palamara è stato un perfetto caso di capro espiatorio organizzativo – afferma Catoni – Certamente Palamara era coinvolto nell’evento ma su di lui ricadono anche colpe altrui. La maggior parte dei magistrati italiani aderiva a quel sistema e chi non aderiva non faceva carriera, rimaneva penalizzato perché il merito semplicemente non bastava. Anche in questa vicenda c’è stata una grande ipocrisia organizzativa poiché il sistema, anche dopo Palamara, è rimasto pressocché identico”.

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