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Genova, dai vicoli al Cep, un’ora e mezza per andare a scuola

Gen 14, 2017

A GENOVA ci sono tre bambine che attraversano tutta la città per andare a scuola. La sveglia è alle 6: alle 7.38 prendono il treno a Principe insieme alla mamma, mezz’ora dopo sono a Voltri e con la corriera salgono in cima al Cep, destinazione scuola Aldo Moro. Ci vuole un’ora e mezza per compiere questo tragitto di 20 chilometri, tanto da avere un’autorizzazione speciale per entrare alle nove; la mamma resta nei dintorni sino alle 16.30, per compiere il percorso al contrario. Questo succede da quando a fine ottobre mamma e bambine sono state sfrattate dalla casa popolare del Cep in cui vivevano abusivamente. Il Comune sapeva che in quell’appartamento abitavano tre minori, ma ora dice di non poter intervenire. «Le bimbe non sono residenti a Genova», hanno ripetuto diversi uffici a chi si è interessato alla loro situazione, una maestra in pensione e la Comunità di Sant’Egidio.

Le tre bambine frequentano la scuola materna ed elementare Aldo Moro da quando, tre anni e mezzo fa, dal campo rom della Fascia di rispetto di Prà sono andate a vivere nella casa del Cep dove il padre delle bimbe abitava e tutt’ora ha la residenza. La situazione di illegalità è nata quando se n’è andato via l’assegnatario dell’appartamento, un amico di famiglia, e il padre ha chiesto al Comune di intestarsi il contratto di affitto: pensava di regolarizzare la sua posizione e invece si è autodenunciato come abusivo. Il primo avviso di sfratto è arrivato a fine 2015, lo scorso ottobre la situazione è precipitata: a inizio mese il padre è finito in prigione e il 28 ottobre – mentre le bambine erano a scuola – la serratura dell’appartamento è stata cambiata.

In loro soccorso è arrivata la maestra Amalia Gentile, insegnante dell’Aldo Moro in pensione che continua a lavorare nella scuola come volontaria. «Il giorno dello sfratto ho chiesto aiuto alla Comunità di Sant’Egidio, che ha procurato alla famiglia un’abitazione in zona Principe», racconta Amalia. «Da allora le bambine attraversano mezza città ogni giorno. Quando piove arrivano fradicie ». A inizio novembre la maestra Amalia ha cominciato un tour tra gli uffici del Comune per cercare aiuto: l’assessorato ai servizi sociali l’ha dirottata all’ufficio emergenze abitative, che l’ha respinta per la mancanza della residenza della mamma e delle bambine: una residenza già rifiutata dal Comune nel 2015 per l’abusività del capofamiglia. Lo Sportello del cittadino ha così suggerito alla maestra di far chiedere loro la residenza nell’Ufficio Cittadini senza territorio, che l’ha però dirottata all’ufficio servizi sociali del municipio VII. «Quest’ultimo mi ha detto che la famiglia non ha i requisiti per essere aiutata », riporta la maestra Amalia. L’ufficio in questione conferma: «Il municipio non possiede alloggi se non per emergenze provvisorie. E non può attivare la Sia (una nuova misura ministeriale di contrasto alla povertà) perché serve la residenza. L’assessore comunale ai servizi sociali Emanuela Fracassi non ritiene che la mancanza di residenza sia uno scoglio insuperabile e promette di «prendere la questione in esame il prima possibile».

Con la ripresa delle lezioni le tre bambine hanno ripreso il loro viaggio quotidiano. «Ma sono sempre più stanche e questa situazione non può ricadere ancora a

lungo sulle spalle dei privati», protesta la maestra Amalia. «Le bimbe non vivono per strada solo grazie alla carità della Comunità di Sant’Egidio, e hanno cibo e vestiti perché il personale della scuola si sta autotassando. Tutto quello che possedevano è rimasto nella casa da cui sono state sfrattate, il permesso di andare a riprenderselo non è mai stato dato. Per fortuna il giorno dello sfratto avevano con loro lo zaino».

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