Colonizzare Marte sarà una delle sfide più difficili per l’umanità. Da tempo si parla del fatto che i ricercatori stiano lavorando per trovare il modo di indurre negli astronauti uno stato di ibernazione, da una parte per abbattere i costi delle missioni umane, dall’altra per rendere il lungo viaggio verso il Pianeta Rosso più sicuro e molto meno faticoso per i membri degli equipaggi.Benefici che potrebbero aiutare a gettare le basi per far compiere davvero all’uomo i primi passi su Marte, e che saranno essenziali successivamente per la creazione di un avamposto umano a lungo termine. Almeno è quello che hanno detto in sostanza i membri del team che hanno esposto la loro analisi al 2016 NASA Innovative Advanced Concepts (NIAC) symposium in corso a Raleigh, in North Carolina.
“Non possiamo colonizzare Marte inviando quattro o sei o otto persone alla volta ogni due anni, servono numeri più grandi” ha spiegato John Bradford, Presidente e Chief Operating Official di SpaceWorks. “Non conosco nessun altro modo per inviare centinaia di persone su Marte”.
Il fatto è che con la tecnologia attuale un viaggio di sola andata verso Marte richiede da sei a nove mesi. Un tempo molto lungo in cui condurre una vita sana e felice chiusi in un’astronave. Ecco perché la soluzione più semplice sembra un lungo sonno, durante il quale abbassare la temperatura corporea degli astronauti di circa 5 gradi Celsius, in modo da indurre una “ibernazione” che abbassa il metabolismo dei membri dell’equipaggio “dal 50 al 70 per cento”, secondo Bradford.
“Questo riduce la necessità di alimentazione e di idratazione, [e] la richiesta di ossigeno, che si traduce in massa, e la massa è un elemento fondamentale per cercare di sostenere questo tipo di missioni su Marte”.
Gli astronauti in ipotermia, inoltre, non avrebbero bisogno di tanto spazio per muoversi. E in effetti lo spazio vitale necessario nella navicella per il trasporto di sei membri di equipaggio potrebbe essere tagliato di un fattore 40, ossia da circa 350 metri cubi a 8 metri cubi. Un habitat più piccolo peserebbe solo 12,7 tonnellate, rispetto a 40,6 tonnellate per quello “standard”. Inoltre con l’ibernazione si ridurrebbero al minimo i problemi psicologici e sociali.
Le incognite non mancano
Bradford e il suo team hanno incassato due finanziamenti mediante il programma della NASA atto a spingere lo sviluppo di tecnologie di esplorazione dello Spazio potenzialmente rivoluzionarie. I ricercatori pensano che la loro visione non sia anni luce distante dalla realtà. Invece di appellarsi alla fantascienza cercano di sfruttare l'”ipotermia preventiva” che è già una pratica comune negli ospedali di tutto il mondo, spesso come un modo per aiutare le persone a recuperare da lesioni traumatiche.
I pazienti in genere vengono sottoposti a questo tipo di trattamento per pochi giorni, secondo Bradford non dovrebbe esserci motivo di pensare che non possa essere applicata agli astronauti molto più a lungo. A Bradford piacerebbe riuscire a mettere i membri dell’equipaggio in ibernazione per l’intero percorso verso Marte, ma anche periodi alterni di due settimane ciascuno avrebbero vantaggi significativi.
L’ipotermia potrebbe essere indotta tramite sistemi di raffreddamento per evaporazione già in uso per l’ipotermia preventiva. I membri dell’equipaggio sarebbero quindi alimentati per via endovenosa e cateterizzati, e sarebbero bloccati fisicamente per impedire loro di muoversi per l’habitat.
L’esposizione prolungata a condizioni di microgravità ha una varietà di effetti negativi sulla salute, dall’atrofia muscolare all’indebolimento delle ossa, per arrivare ai problemi di visione. Tutti effetti collaterali di cui gli astronauti in ipotermia non dovrebbero preoccuparsi, perché il loro habitat potrebbe ruotare generando gravità artificiale.
I problemi non mancano: prima di tutto il processo di ingresso in ibernazione è relativamente rapido, ma il risveglio sembra piuttosto lento; secondo una ricerca la temperatura corporea può essere alzata in maniera “sicura” di circa 0,5 gradi Celsius all’ora. Inoltre non è chiaro quali effetti mentali potrebbe avere una prolungata ibernazione. Non ultimo, il raffreddamento del corpo sopprime le funzioni immunitarie, quindi gli astronauti potrebbero essere più soggetti alle infezioni.
Bradford e il suo team stanno cercando di sciogliere queste questioni grazie ai finanziamenti incassati, e finora non hanno trovato grossi ostacoli. ” È tutto gestibile, pensiamo che questo approccio sia molto promettente”, ha detto Bradford.
Oltre alle prime missioni dell’uomo su Marte, Bradford e i suoi colleghi pensano che questa tecnologia potrebbe permettere all’uomo di stabilire colonie permanenti sul Pianeta Rosso, un’idea che richiederebbe probabilmente l’invio di 100 persone per volta. Un progetto del genere infatti richiederebbe 17 astronavi da sei persone ciascuna, con un peso totale di circa 700 tonnellate. Che potrebbe essere ridotto a 200 tonnellate mettendo i coloni in ibernazione.
Ecco quindi l’idea di costruire un “Mars Transfer Habitat” con tre moduli, di cui due destinati ad alloggiare 48 coloni in stasi ciascuno. Il terzo modulo (molto più piccolo) ospiterebbe invece quattro coloni vigili, che agirebbero come “custodi” e garantirebbero che il viaggio si svolga senza intoppi.
“I tassi metabolici ridotti che si otterrebero abbasserebbero in maniera consistente il bisogno di prodotti alimentari di consumo e di acqua, e ottimizzerebbero la progettazione dei sistemi di supporto per il controllo ambientale e di vita”, hanno scritto gli esperti in un congresso svoltosi lo scorso anno a Gerusalemme.