MILANO – Dopo la corsa per la sorprendente vittoria alle elezioni Usa di Donald Trump, con il suo carico di promesse elettorali, i mercati sono in una fase di stallo con le tensioni latenti che riaffiorano sotto la coltre di ottimismo – per molti eccessivo – portato dal tycoon. Come nota Bloomberg, l’inquietudine si vede sul mercato valutario con la sterlina che soffre le ipotesi di Brexit dura e lo yuan cinese in preda a forti movimenti nonostante lo sforzo della Banca centrale di tenerlo sotto controllo. Secondo Yukio Ishizuki, strategist at Daiwa Securities a Tokyo, in questo momento i mercati sono in una fase di “esitazione”. Certo, “la forza dell’economia americana rende naturalmente attraente il dollaro, ma viste le alte aspettative che si sono create sulle politiche di Trump” ora i mercati si trovano in una fase di leggera correzione.
L’euro tratta sotto 1,06 dollari, mentre lo yen avanza. Il biglietto verde ha iniziato l’anno al ribasso dopo la pubblicazione delle minute della Fed, che hanno mostrato alcuni profili d’incertezza sull’economia Usa dopo l’elezione di Trump. La moneta europea, che in nottata aveva superato quota 1,06, passa di mano a 1,0561 dollari e 122,64 yen. La sterlina è a 1,2144 sul dollaro.
I listini europei aprono in leggero rialzo: Piazza Affari sale dello 0,2% con il comparto del credito sempre sotto i riflettori, mentre parte l’iter al Senato del decreto salva-risparmio che porta con sé il salvataggio del Monte dei Paschi. Francoforte aggiunge lo 0,25%, in linea con Londra e Parigi. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi è poco sopra 160 punti base con il decennale italiano che rende l’1,9%.
La produzione industriale torna a crescere in Francia: a novembre, secondo i dati dell’istituto di statistica Insee, è cresciuta del 2,2% dopo aver registrato il mese precedente una contrazione dello 0,1 per cento. La produzione manifatturiera cresce del 2,3% (-0,6% in ottobre).
Le Borse cinesi terminano in calo una seduta caratterizzata dalla volatilità: l’indice Composite di Shanghai cede lo 0,30%, a 3.161,67 punti, mentre quello di Shenzhen scivola dello 0,24%, a quota 1.989,29. Chiusura in calo per la Borsa di Tokyo, ieri chiusa, con l’indice Nikkei a 19.301 punti (-0,79%). Dal Giappone arrivano però segnali positivi dalla fiducia dei consumatori, che ha ripreso vigore a dicembre risalendo ai massimi da tre anni a 43,1 punti secondo i dati diffusi dal governo. I consumatori giapponesi restano tuttavia prudenti nelle indicazioni sulle prospettive future. Inflazione in lieve frenata, invece, in Cina: a dicembre, secondo i dati ufficiali, i prezzi al consumo hanno registrato un incremento su base mensile dello 0,2% (+0,1% a novembre) e annua del 2,1% in lieve rallentamento rispetto al 2,3% di novembre. Si tratta del primo rallentamento del tasso di inflazione annuo da quattro mesi.
Ieri sera si è chiusa una giornata mista per la Borsa di Wall Street, con l’indice Dow Jones che ha perso lo 0,38% a 19.887 punti e il Nasdaq che ha guadagnato lo 0,19% a 5.532 punti e nuovi record. Il prezzo del petrolio è stagnante dopo i cali di ieri. Sui mercati asiatici i future sul Light crude Wti cedono 3 cent a 51,93 dollari al barile e quelli sul Brent arretrano di un cent a 54,94 dollari. Dopo i rialzi di inizio d’anno legati all’accordo del 30 novembre sulla riduzione della produzione tra i Paesi Opec, ora si teme che non tutti i firmatari siano disponibili a implementare le riduzioni concordate. In particolare si teme che l’Iraq possa essere tra i primi a meno ai tagli e che l’Iran, che pure è stato esentato dalla riduzione delle quote, possa cominciare a smaltire le sue ingenti scorte. Il Kuwait e l’Arabia Saudita, che pure assicurano di aver iniziato a diminuire la produzione come previsto dagli accordi Opec, sono difficilmente monitorabili. Tutto ciò ha contribuito a invertire la tendenza al rialzo dei prezzi sui mercati petroliferi.