“Vaccini, boom di adesioni tra i giovani”, “grande affluenza dei giovani”, “l’orgoglio è quello di aver dimostrato di esserci e di aver compreso l’importanza di un gesto anche e soprattutto collettivo”. Questo è quanto hanno scritto alcuni giornali riguardo alle adesioni da parte dei più giovani alla campagna vaccinale. Dal 3 giugno in Italia la gestione commissariale del governo ha dato il via libera alle regioni interessate ad aprire a tutti la possibilità di prenotarsi per il vaccino anti Covid. Lo hanno fatto il Piemonte, la Lombardia e il Veneto, tra le regioni più popolose. Altre stanno scegliendo invece la strada degli open day, per dedicare ai giovani le dosi di AstraZeneca e talvolta anche di Johnson & Johnson che altre classi di età evidentemente rifiutano.
E’ troppo presto tuttavia per gridare al successo. Gli open day, cioè l’apertura di massa ai centri vaccinali senza prenotazione dedicata ai più giovani, è naturale che producano code e assembramenti che danno l’idea della calca e del grande afflusso. Non possono dunque essere raccontate dai media come dei successi di per sé, anche se l’immagine che ne esce può farlo apparire. Anzi, in tempi normali mai ci saremmo sognati di raccontare come un successo la disorganizzazione di un ufficio pubblico che lascia in coda per ore gli utenti, per di più in mezzo a una pandemia. Ad andarci, a mettersi in coda per ore, sono i più motivati, i più spaventati dalla malattia, che ci sono in ogni fascia d’età. Lo stesso vale per chi si è prenotato nelle prime ore sui portali regionali, circa 450 mila in un giorno in Lombardia per chi ha tra i 12 e i 29 anni. Si tratta dei più volonterosi che da mesi non attendevano che vaccinarsi per proteggere sé stessi e chi sta loro attorno, e sarebbe un errore e un eccesso di ottimismo pensare che il trend continuerà a essere questo.
D’altronde se almeno per adesso la campagna vaccinale italiana sta raggiungendo risultati positivi sulle fasce d’età più avanzate – l’83 per cento degli over 60 ha ricevuto almeno una dose e tra gli ultraottantenni la quota supera il 90 per cento – è naturale che tra chi vive un minor rischio di complicazioni la voglia di vaccinarsi sarà più ridotta. Secondo Matteo Villa dell’Ispi la quota di persone che sceglie di non farsi vaccinare scende in media di circa 3 punti percentuali ogni cinque anni d’età. Questo è quanto accade nel Regno Unito tra chi ha almeno 54 anni (in Inghilterra chi ha meno di 30 anni non può ancora vaccinarsi): e al ridursi ulteriormente dell’età anagrafica la disponibilità potrebbe cambiare ancora. Sull’Italia questo calcolo è difficile da fare, perché l’unica classe d’età che ha sostanzialmente terminato le vaccinazioni è quella degli ultraottantenni, di cui circa 8 su 100 non hanno voluto vaccinarsi almeno per adesso. Se la stima basata sui numeri del Regno Unito si rivelasse corretta, significherebbe che tra gli adulti circa un italiano su cinque deciderebbe di non vaccinarsi, e tra i più giovani quasi uno su tre.
Negli Stati Uniti le somministrazioni sono aperte a tutti da settimane ma solo un terzo di chi ha tra i 16 e i 24 anni ha ricevuto almeno una dose. Secondo un sondaggio riportato dalla Cnn il 36 per cento degli under 35 americani prevede di non vaccinarsi. Un altro sondaggio, questa volta internazionale di Ipsos, ha coinvolto a fine aprile circa 10 mila persone non ancora protette in 15 paesi diversi e ha rivelato che i più giovani sono meno propensi a vaccinarsi rispetto agli adulti. Sebbene i dati italiani non abbiano mostrato una minore volontà tra i più giovani e gli italiani siano tra i più convinti sulle vaccinazioni, in paesi simili al nostro come la Spagna, il Regno Unito, la Germania e la Francia i millennial (cioè chi ha tra i 24 e i 38 anni) sono meno convinti della media. Una tendenza simile potrebbe diffondersi anche in Italia.
E’ probabile dunque che nel giro di poche settimane gli opinionisti discuteranno del perché i giovani italiani non si vogliono vaccinare, con la solita retorica paternalistica che spesso caratterizza le polemiche che coinvolgono le nuove generazioni. In realtà già da ora si potrebbero mettere in campo azioni per favorire la voglia di vaccinarsi tra i millennial e la Generazione Z. Con una campagna di comunicazione tra i tantissimi influencer e persone che sui social network promuovono anche messaggi positivi. Ma soprattutto fornendo incentivi, evidentemente non sufficienti per tutti i giovani (ricordiamo che tra i 126 mila morti italiani per Covid solo poco più di 300 avevano meno di 40 anni). La libertà di viaggiare in Europa è uno di questi, ma non sempre sufficiente visto che la seconda dose, e dunque il green pass europeo, difficilmente potrà arrivare prima delle vacanze estive. Si potrebbe dunque condizionare l’accesso ad alcuni servizi, come le discoteche e i centri estivi, ad aver ricevuto almeno una dose di vaccino 10 giorni prima. Oppure, per esempio, fornire sconti per l’acquisto degli abbonamenti dei mezzi pubblici a chi può provare di aver ricevuto una dose. Invece che rivoltare ancora una volta la colpa verso i più giovani.