• 30 Novembre 2024 11:43

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Boris Johnson, un politeista a Downing Street

Giu 1, 2021

AGI – La vicenda è così nota che c’è poco gusto a riferirla, se non per sommi capi: Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito, ha impalmato la fidanzata Carrie Symonds nella Cattedrale di Westminster, sabato 29 maggio. Era presente il piccolo frutto dell’amore Wilfred, la cui nascita ha preceduto di circa un anno la cerimonia regolarizzatrice.

Il matrimonio è stato celebrato secondo i canoni del rito cattolico e qui inizia il racconto, perché se una cosa del genere fosse successa non diciamo in epoca vittoriana, ma ancora nella prima metà del longevo regno di Elisabetta II, le conseguenze politiche sarebbero state non indifferenti.

L’Inghilterra (in questo profondamente diversa dalle altre parti del Paese) ha con il cattolicesimo un rapporto tutto suo. Non c’è rancore (ve n’è stato), quindi in fondo che male c’è. In compenso c’è molto gusto per la distinzione. Mai saremo la stessa cosa. Chi si confondeva con Roma, per lungo tempo, pagava pegno.

Persino Tony Blair, che pur non risparmiò alla Regina il dispetto di definire Diana la Principessa del Popolo, quando si trattò di aderire al cattolicesimo attese di essere con tutti e due i piedi fuori da Downing Street e fuori della portata della Monarca, che anche lei però si lascia intendere ben disposta al dialogo con il Papa di Roma. Ma quanto a passi azzardati, meglio attendere i segni dei tempi che verranno.

Insomma, sposandosi con la cattolica Carrie nella comunione con Roma il nostro Boris ha compiuto l’ennesimo, piccolo quanto ribaldo strappo con tutto ciò che era la britishness fino a quando al mondo non si è manifestato lui, il rompitore di canoni per eccellenza in un Paese di tradizionalisti rompitori di canoni per tradizione. 

Questo è un primo motivo per cui non bisogna stupirsi dell’accaduto. Il secondo è che il premier è di suo il frutto di incroci intergenerazionali di sangue musulmano, ebreo, anglicano, e che vive il sincretismo con una coerenza esemplare. Venne battezzato, ancora fantolino, come cattolico in ossequio al credo materno, ma arrivato a Eton (notano i cattivi: un posto in cui il mainstream anglicano va assecondato per non finire ai margini; ma questa è per l’appunto cattiveria) si confermò nella confessione ufficiale degli inglesi.

Basta intendersi

Ancora un anno prima del referendum sulla Brexit, e quattro prima di ascendere al gradino più alto del potere, si confessava ai microfoni di una radiofonica Isola dei Famosi della Bbc. Si intitola “Desert Island Discs” e prevede che le celebrità, pur restando comodamente a Kensington e dintorni, immaginino di essere dei Robinson Crusoe.  Per parlare di musica.

Format ridondante e barocco e Johnson seppe essere all’altezza. Gli chiesero cosa avrebbe fatto se finito su un’isola deserta. Il Padre Brown di Chesterton, si sa, rispondeva: “Svessi un piffero dai suoni strani / per fare il verso ai gabbiani”. Lui, memore forse del precedente, replicò: “Intonerei degli inni e marcerei avanti e indietro”. Bene, quali inni? Lui citò di tutto, da Brahams al punk rock, ma di religioso proprio nulla. L’importante è intendersi sul significato della parola “Inni”. E ritenere che esista una grande Chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa.

Nonostante questo atteggiamento un po’ confusionario, ai cattolici britannici in fondo ha sempre fatto un certo piacere ricordare che Johnson sia stato il primo premier della storia nazionale ad essere battezzato come cattolico alla nascita. Dice poi che la madrina fosse persino papista accanita, e in Skyfall l’inglese medio ha avuto modo di scoprire che persino James Bond proviene da famiglia cattolica, ancorché scozzese.

L’attrazione per il gentil sesso

Ecco, con Bond pare ci sia una seconda comune caratteristica, vale a dire l’atteggiamento accondiscendente nei confronti dell’opposto sesso. Poveri illusi di quaccheri, calvinisti spediti via sul Mayflower e leali anglicani indignati per la Congiura delle Polveri: voi credete che i cattolici seguano tutti pedissequamente gli ordini della loro Chiesa matrigna, usa a trattarli da sudditi, in materia di fedeltà coniugale. Aprite gli occhi. E se non vi basta il battezzato di Downing Street, già al terzo sì, fate scendere lo sguardo verso lidi a noi più familiari.

Una cosa infatti colpisce delle nozze Johnson-Symonds, vale a dire l’argomentazione adottata per spiegarne la legittimità. Inoppugnabile, ma anche raffinata al limite del sofismo: non essendo infatti i due precedenti matrimoni dello sposo celebrati con il rito cattolico, agli occhi della Chiesa Cattolica sono, come si dice in Britannia, null and void. Quindi lo sposo è liberissimo di contrarne un terzo.

Anzi fa bene, perché così esce da una situazione ‘more danico’ e rientra nei canoni. A ben ricordare, qualcuno sostenne in Italia una cosa simile ai tempi di un locale primo ministro che vedeva la fine della sua seconda unione coniugale. L’importante, notò un prelato di Roma, è contestualizzare.

Così, contestualizzando, si spiega anche la risposta data a Mohammad Amin. Questi è un ricco uomo d’affari britannico di fede musulmana, che quando Johnson divenne leader dei conservatori si dimise dal partito perché non gli perdonava quanto affermato, tempo addietro, sull’Islam e il burqa. Aveva detto, il politico politicamente scorretto, che si trattava di una pratica “oltraggiosa” e che non capiva “come fosse possibile che ci sia gente disposta ad andare in giro vestita da buca delle lettere”. Al rimprovero Johnson controbatté ricordando di avere un bisnonno musulmano, il turco Ali Kemal, che ammirava la Gran Bretagna un quando terra di tolleranza.

A suo modo Johnson è uno che sa dare a Dio quel che è di Dio. A Gerusalemme, da titolare del Foreign Office, si recò al Muro del Pianto rivendicando le sue radici personali nella Torah. Senza ricordare troppo che Nonno Elia, al secolo il paleografo Elias Avery Lowe, un ebreo americano di origini russe, non gli ha trasmesso tanto l’interesse per il Pentateuco – da lui letto ma mai interiorizzato – quanto piuttosto quello per le lettere classiche, che il piccolo Boris ha poi perfezionato a Oxford.

E questa forse è la spiegazione di tutto.

Alla fine dell’Impero

A Oxford, ma anche a Eton, ma anche probabilmente grazie al lascito culturale del bisnonno, Boris Johnson ha sviluppato e coltivato e persino interiorizzato amore e ammirazione per il mondo greco e latino: come spesso accadeva nei secoli passati ai suoi antenati del Grand Tour. Nota un suo biografo, Andrew Gimson: “chiaramente si lascia ispirare dai Romani e dai Greci, ma per i cristiani dei primi secoli prova autentica repulsione”.

Non stupisca, la rivelazione: è la tesi di Gibbon nel suo “Decline and Fall of the Roman Empire”, che scritto tre secoli fa plasma tuttora generazioni intere di entusiastiche nuove leve studentesche. Per lo Stato, scriveva il Gibbon, i cristiani provavano solo indifferenza, e fu per questo che Roma morì.

Può, l’uomo della Brexit che è alle prese con la lotta per la sopravvivenza di ciò che resta dell’Impero Britannico, pensarla diversamente? In fondo Costantino stesso abbracciò Cristo solo ed esclusivamente in punto di morte. Prima passò la vita a tentare di mettere sotto il suo tallone Costantinopoli, ma anche Roma (intesa come cattedra di Pietro). Johnson – lo ha scritto l’Economist – “dà l’impressione di condividere con gli antichi la fede nei portenti e nei segni del cielo come anche il senso tutto omerico per i grandi eroi che devono essere lasciati liberi di agire secondo le loro passioni, al di fuori delle limitazioni della morale”.

Insomma, più che la Provvidenza provvede la Moira. A ben vedere, non sorprende a questo punto la sua facilità nell’essere ebreo a Gerusalemme, nel rivendicare le proprie radici musulmane con i musulmani, nello sposarsi da cattolico con una cattolica. Un atteggiamento che oggi si potrebbe ben definire panteista, una volta sincretico se non addirittura politeista.  

Capitava spesso, in passato, a chi tornava dal Grand Tour.

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