AGI – Il 12 dicembre compirà 24 anni. Ne aveva soli 17 quando ha lasciato la famiglia e il Ghana, per solcare terre e acque e approdare in Italia. Bawku, la sua città d’origine, a nord del Paese africano, e poi Kumasi più a sud, dove è stato mandato dalla famiglia, appena dodicenne, dallo zio materno, a sbrigare piccoli compiti nei campi.
“Lontanissimo dal mare”, sorride, mentre con lo sguardo sembra misurare la tanta strada fatta. Il viaggio difficilissimo di Abdulai Bukari è iniziato in questo posto, che non è solo un luogo geografico – vuol far comprendere a questo giornalista dell’AGI probabilmente zavorrato da certi schemi – ma anche il respiro di attese e desideri semplici di ragazzo.
Come quello di andare a scuola. Così, passati cinque anni, aveva deciso di non obbedire più allo zio che in una classe non l’avrebbe mai fatto entrare. Fu affidato a un uomo… perché, gli disse, non poteva più tenere un ‘ribelle’ che aveva altri sogni… che trovasse la sua strada, se proprio voleva andare a scuola, che andasse in Libia e da lì dove avesse voluto.
Era la fine del 2014. A bordo di un pullman, e con quel compagno improvvisato, ha attraversato il Burkina Faso, poi il Niger… infine la Libia dove ha lavorato vendendo pane.
Alcuni mesi dopo, quando era venuto il tempo, la partenza su un barcone intercettato dalla Marina militare. In Sicilia è arrivato il 3 aprile 2015. Gli occhi e il cuore pieni d’Africa. Nell’altra parte del Mediterraneo un mondo tutto nuovo, per Abdulai, “il principe”, come lo avrebbero battezzato qualche anno dopo a Palermo. Per i suoi modi, la mitezza, il senso dell’accoglienza, lui che è stato accolto, la voglia di mettersi in gioco nel desiderio di imparare, nei lavori semplici, ma anche di guardare oltre: la scuola, il lavoro che ha sempre desiderato.
Fondamentali sono stati i compagni di ‘traversata’, come, i religiosi comboniani, nella parrocchia piantata come una solida e generosa quercia su piazza della Pace, davanti al carcere Ucciardone.
“Mi sono sentito voluto bene da chi mi ha preso con sé”, dice grato e sereno. A lui che è musulmano con molta naturalezza sono state aperte le porte della chiesa che gli ha dato un alloggio, quello che fine a poco tempo prima era occupato da un missionario. Adesso ha preso la patente per guidare i Tir grazie al progetto “Apri” della Caritas, iniziativa che punta a creare condizioni di integrazione per i migranti e percorsi di autonomia, sensibilizzando le comunità.
“Il mio sogno – spiega Abdulai – è guidare i camion, lavorare gestendo autonomamente il mio tempo, continuando, in fondo, nella libertà e nell’autonomia, la mia strada, il mio percorso”.
Questa estate probabilmente andrà a Verona a realizzare il suo obiettivo, dopo essere passato per centri di accoglienza, scuole, progetti di formazione, contratti di lavoro come manutentore, decisive esperienze di comunità come la Zattera di Palermo, animata da famiglie di laici comboniani che svolgono un ruolo di accoglienza per migranti, attraverso percorsi di sostegno, condivisione, di libertà, come quello di Abdulai, che proprio qui è diventato “il principe”.
Nel 2018 è stato a Lampedusa con i suoi nuovi amici: “E’ stata una esperienza forte – ricorda – dalla Porta d’Europa ho visto il mare oltre il quale c’è la mia Africa. Quella porta io l’ho attraversata. Sono stato aiutato da tanta buona gente in Italia, ho studiato e lavorato molto. E ora sono qui. Per continuare il mio viaggio“.