• 30 Novembre 2024 5:30

Corriere NET

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‘Special One’ per i Friedkin, la nuova sfida di Mourinho

Mag 5, 2021

AGI – L’annuncio a sorpresa del ritorno di José Mourinho in Italia arriva a poco meno di 11 anni dal suo addio, altrettanto clamoroso. Era la notte del Triplete, il 22 maggio 2010, quando l’allenatore portoghese uscì dal Santiago Bernabeu nell’auto del presidente del Real Madrid, la sua prossima destinazione dopo aver vinto tutto il possibile con i nerazzurri. Ora arriva la notizia che lo Special One sarà l’allenatore della Roma per i prossimi tre anni, fino al 30 giugno del 2024, al posto di Paulo Fonseca a cui poco prima il club aveva dato ufficialmente il benservito al termine della stagione con un comunicato.

Al di là della nazionalità portoghese del general manager giallorosso Tiago Pinto, l’unico indizio che poteva far pensare a un ritorno in Italia di Mou era stata un’intervista al Times: “Se un giorno dovessi andare in Italia per allenare un club rivale (dell’Inter, ndr) non ci penserei due volte. Ho questo modo professionale di guardare alle cose. Mi sento bene con me stesso”. Dopo CR7, il calcio italiano arruola nuovamente un altro portoghese capace di far parlare il mondo della Serie A.

“Zero tituli”

Da “Non sono pirla” alla “Prostituzione intellettuale”, dagli “Zero tituli” al “rumore dei nemici”, il 58enne ‘vate’ di Setubal ha già dato prova in Italia di conoscere alla perfezione i meccanismi della comunicazione. “Siamo lieti ed emozionati di dare il benvenuto a José Mourinho nella famiglia dell’AS Roma – hanno dichiarato il presidente Dan Friedkin e il vicepresidente Ryan Friedkin – José è un fuoriclasse che ha vinto trofei a ogni livello e garantirà una leadership e un’esperienza straordinarie per il nostro ambizioso progetto. L’ingaggio di José rappresenta un grande passo in avanti nella costruzione di una mentalità vincente, solida e duratura, nel nostro Club”.

“Daje Roma!”

Lo Special One, da parte sua, ha spiegato in una breve dichiarazione di aver “capito immediatamente quanto sia alta l’ambizione di questa Società”. “L’incredibile passione dei tifosi della Roma mi ha convinto ad accettare l’incarico. Daje Roma!”, ha aggiunto entrando immediatamente nello spirito del nuovo club. Proprio Tiago Pinto ha sottolineato come si sia voluto guardare al “desiderio di vincere” e alla “passione” di un allenatore che è considerato “perfetto” per la rifondazione, in quanto “possiede la conoscenza, l’esperienza e la leadership per competere a tutti i livelli”.

Per Mourinho parte una nuova sfida: si era parlato di lui come possibile ct del Portogallo, dopo l’esonero del 19 aprile al Tottenham che ha fatto parlare molti di un tecnico in declino. Sui giornali inglesi è tornato a circolare il perfido soprannome ‘Special Once’ (speciale un tempo), per rimarcare come avesse perso il tocco magico delle stagioni migliori, quando sorprendeva l’Europa con la Coppa dei Campioni al Porto o firmava un’impresa storica con l’Inter.

Cinque esoneri di fila

Sul piano economico i suoi cinque esoneri in carriera (i due al Chelsea e quelli al Real, allo United e al Tottenham) sono indolori, anzi si stima che abbiano portato nelle tasche del vate portoghese qualcosa come 100 milioni di euro. Ora, però, è la sua stessa rivoluzione che sembra aver perso la spinta propulsiva dei 22 titoli conquistati tra il 2003 e il 2015, quando veniva conteso fra Portogallo, Inghilterra, Italia e Spagna.

Un allenatore tra i più vincenti di sempre, amato o odiato ma un modello con cui raffrontarsi per chiunque sedesse in panchina, ora viene rimesso in discussione: il suo calcio è considerato da molti superato e speculativo, non è più l’allenatore globale capace di mescolare la morbidezza portoghese con la concretezza italiana, la durezza anglosassone mitigata dalla fantasia spagnola. Se i sostenitori del modello Pep Guardiola avevano da tempo messo nel mirino il calcio di Mou, finora resisteva almeno il mito della sua forza comunicativa.

Un grande comunicatore

Nessuno negava la capacità di tenere desto l’interesse di media e tifosi iperconessi con battute e gesti (indimenticabili le manette all’Inter o il dito dietro l’orecchio rivolto ai tifosi della Juve) che contribuivano a spostare i riflettori su di sé per tenere al riparo la squadra. E poi la gestione granitica del gruppo, esaltando la coesione dello spogliatoio e additando ed emarginando chi ne mina l’unità. Tutte certezze che le ultime esperienze hanno scalfito pesantemente.

Per ironia della sorte il declino di Mou è certificato dall’Inghilterra, dove si era definitivamente affermato al Chelsea conquistando tre Premier League e una Fa Cup nelle sue due esperienze. Il calcio d’Oltremanica sembra aver voltato le spalle al portoghese. La prima amarezza era arrivata con il ritorno a Stamford Bridge, nel 2013: subito un terzo posto, poi una trionfale doppietta Premier League-Coppa di Lega nel 2014-2015 che gli era valsa un contratto quadriennale. Ma la stagione successiva fu disastrosa e nel dicembre 2015 Mou venne cacciato con i Blues che avevano incassato 9 sconfitte in 16 partite.

Old Trafford agrodolce

La stagione successiva arriva l’esperienza al Manchester United con cui in tre anni conquista una Coppa di Lega, una Europa League e un Community Shield (la Supercoppa inglese), ma senza mai entrare nel cuore dei tifosi. L’esonero del 18 dicembre 2018 arriva a tre anni esatti da quello al Chelsea, con i Red Devils a 19 punti dalla vetta in Premier League. L’occasione per il riscatto si era presenta 11 mesi più tardi, al Tottenham. Mourinho accetta nonostante le ovvie controindicazioni: i tifosi non gli perdonano la lunga militanza al Chelsea e deve subentrare a Mauricio Pochettino, che appena sei mesi prima aveva restituito lustro al club portandolo in finale di Champions League con un calcio spettacolare.

Il fallimento al Tottenham

La prima stagione tra alti e bassi si conclude con un sesto posto in Premier League, la seconda va anche peggio con 10 sconfitte in campionato, l’umiliante eliminazione in Europa League con la Dinamo Zagabria, una fronda interna guidata da Dele Alli, Gareth Bale, Toby Alderweireld e Harry Winks. Così ad aprile è arrivato l’esonero dopo 17 mesi agli Spurs: per la prima volta dai tempi del Leira, allenato nel 2001, ha lasciato un club con “zero tituli”, l’espressione da lui stesso coniata all’Inter, chiudendo così mestamente un ventennio di successi. Ma ora alla Roma, in un club che ripartirà quasi certamente fuori dalle Coppe che contano dopo un’annata disastrosa, Mou si gioca gran parte delle possibilità di tornare Special.

AGI – L’annuncio a sorpresa del ritorno di José Mourinho in Italia arriva a poco meno di 11 anni dal suo addio, altrettanto clamoroso. Era la notte del Triplete, il 22 maggio 2010, quando l’allenatore portoghese uscì dal Santiago Bernabeu nell’auto del presidente del Real Madrid, la sua prossima destinazione dopo aver vinto tutto il possibile con i nerazzurri. Ora arriva la notizia che lo Special One sarà l’allenatore della Roma per i prossimi tre anni, fino al 30 giugno del 2024, al posto di Paulo Fonseca a cui poco prima il club aveva dato ufficialmente il benservito al termine della stagione con un comunicato.
Al di là della nazionalità portoghese del general manager giallorosso Tiago Pinto, l’unico indizio che poteva far pensare a un ritorno in Italia di Mou era stata un’intervista al Times: “Se un giorno dovessi andare in Italia per allenare un club rivale (dell’Inter, ndr) non ci penserei due volte. Ho questo modo professionale di guardare alle cose. Mi sento bene con me stesso”. Dopo CR7, il calcio italiano arruola nuovamente un altro portoghese capace di far parlare il mondo della Serie A.
“Zero tituli”
Da “Non sono pirla” alla “Prostituzione intellettuale”, dagli “Zero tituli” al “rumore dei nemici”, il 58enne ‘vate’ di Setubal ha già dato prova in Italia di conoscere alla perfezione i meccanismi della comunicazione. “Siamo lieti ed emozionati di dare il benvenuto a José Mourinho nella famiglia dell’AS Roma – hanno dichiarato il presidente Dan Friedkin e il vicepresidente Ryan Friedkin – José è un fuoriclasse che ha vinto trofei a ogni livello e garantirà una leadership e un’esperienza straordinarie per il nostro ambizioso progetto. L’ingaggio di José rappresenta un grande passo in avanti nella costruzione di una mentalità vincente, solida e duratura, nel nostro Club”.
“Daje Roma!”
Lo Special One, da parte sua, ha spiegato in una breve dichiarazione di aver “capito immediatamente quanto sia alta l’ambizione di questa Società”. “L’incredibile passione dei tifosi della Roma mi ha convinto ad accettare l’incarico. Daje Roma!”, ha aggiunto entrando immediatamente nello spirito del nuovo club. Proprio Tiago Pinto ha sottolineato come si sia voluto guardare al “desiderio di vincere” e alla “passione” di un allenatore che è considerato “perfetto” per la rifondazione, in quanto “possiede la conoscenza, l’esperienza e la leadership per competere a tutti i livelli”.
Per Mourinho parte una nuova sfida: si era parlato di lui come possibile ct del Portogallo, dopo l’esonero del 19 aprile al Tottenham che ha fatto parlare molti di un tecnico in declino. Sui giornali inglesi è tornato a circolare il perfido soprannome ‘Special Once’ (speciale un tempo), per rimarcare come avesse perso il tocco magico delle stagioni migliori, quando sorprendeva l’Europa con la Coppa dei Campioni al Porto o firmava un’impresa storica con l’Inter.
Cinque esoneri di fila
Sul piano economico i suoi cinque esoneri in carriera (i due al Chelsea e quelli al Real, allo United e al Tottenham) sono indolori, anzi si stima che abbiano portato nelle tasche del vate portoghese qualcosa come 100 milioni di euro. Ora, però, è la sua stessa rivoluzione che sembra aver perso la spinta propulsiva dei 22 titoli conquistati tra il 2003 e il 2015, quando veniva conteso fra Portogallo, Inghilterra, Italia e Spagna.
Un allenatore tra i più vincenti di sempre, amato o odiato ma un modello con cui raffrontarsi per chiunque sedesse in panchina, ora viene rimesso in discussione: il suo calcio è considerato da molti superato e speculativo, non è più l’allenatore globale capace di mescolare la morbidezza portoghese con la concretezza italiana, la durezza anglosassone mitigata dalla fantasia spagnola. Se i sostenitori del modello Pep Guardiola avevano da tempo messo nel mirino il calcio di Mou, finora resisteva almeno il mito della sua forza comunicativa.
Un grande comunicatore
Nessuno negava la capacità di tenere desto l’interesse di media e tifosi iperconessi con battute e gesti (indimenticabili le manette all’Inter o il dito dietro l’orecchio rivolto ai tifosi della Juve) che contribuivano a spostare i riflettori su di sé per tenere al riparo la squadra. E poi la gestione granitica del gruppo, esaltando la coesione dello spogliatoio e additando ed emarginando chi ne mina l’unità. Tutte certezze che le ultime esperienze hanno scalfito pesantemente.
Per ironia della sorte il declino di Mou è certificato dall’Inghilterra, dove si era definitivamente affermato al Chelsea conquistando tre Premier League e una Fa Cup nelle sue due esperienze. Il calcio d’Oltremanica sembra aver voltato le spalle al portoghese. La prima amarezza era arrivata con il ritorno a Stamford Bridge, nel 2013: subito un terzo posto, poi una trionfale doppietta Premier League-Coppa di Lega nel 2014-2015 che gli era valsa un contratto quadriennale. Ma la stagione successiva fu disastrosa e nel dicembre 2015 Mou venne cacciato con i Blues che avevano incassato 9 sconfitte in 16 partite.
Old Trafford agrodolce
La stagione successiva arriva l’esperienza al Manchester United con cui in tre anni conquista una Coppa di Lega, una Europa League e un Community Shield (la Supercoppa inglese), ma senza mai entrare nel cuore dei tifosi. L’esonero del 18 dicembre 2018 arriva a tre anni esatti da quello al Chelsea, con i Red Devils a 19 punti dalla vetta in Premier League. L’occasione per il riscatto si era presenta 11 mesi più tardi, al Tottenham. Mourinho accetta nonostante le ovvie controindicazioni: i tifosi non gli perdonano la lunga militanza al Chelsea e deve subentrare a Mauricio Pochettino, che appena sei mesi prima aveva restituito lustro al club portandolo in finale di Champions League con un calcio spettacolare.
Il fallimento al Tottenham
La prima stagione tra alti e bassi si conclude con un sesto posto in Premier League, la seconda va anche peggio con 10 sconfitte in campionato, l’umiliante eliminazione in Europa League con la Dinamo Zagabria, una fronda interna guidata da Dele Alli, Gareth Bale, Toby Alderweireld e Harry Winks. Così ad aprile è arrivato l’esonero dopo 17 mesi agli Spurs: per la prima volta dai tempi del Leira, allenato nel 2001, ha lasciato un club con “zero tituli”, l’espressione da lui stesso coniata all’Inter, chiudendo così mestamente un ventennio di successi. Ma ora alla Roma, in un club che ripartirà quasi certamente fuori dalle Coppe che contano dopo un’annata disastrosa, Mou si gioca gran parte delle possibilità di tornare Special.

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