AGI – Con licenza del Cicap, la città di Napoli continua a trarre pronostici dal miracolo del santo vescovo Gennaro, martirizzato sotto Diocleziano nel 305 dopo Cristo dinanzi alla Solfatara di Pozzuoli. Né sprovveduti né bigotti ma figli litigiosi di una comune identità, che riappacifica per l’occasione de Magistris e Bassolino, cattolici e laici, vecchi e giovani, dottori e mariuoli, i napoletani ora sono un po’ preoccupati.
Dopo il mancato scioglimento del sangue a dicembre scorso, constatano il ritardo con cui s’è sciolto adesso: atteso il primo maggio, solamente il 2 alle cinque passate del pomeriggio il santo ha elargito il suo segno.
La cabala devota del presagio desunto dal “prodigio” (così preferisce definire la Chiesa il fenomeno della liquefazione del sangue) si articola nei secoli e sui tre annuali appuntamenti tra il patrono e i fedeli: 19 settembre, data della decollazione; il sabato precedente la prima domenica di maggio, che commemora la traslazione delle sacre reliquie; il 16 dicembre, da quando un martedì del 1631 fu attribuita al patrono la deviazione della nube vulcanica incombente su Napoli dopo l’eruzione del Vesuvio (oltre 4 mila vittime sepolte sotto lave e lapilli).
Nell’arte raffinata, o nell’imperfetta scienza, dei presagi gennariani, resta tuttora insuperata l’indagine di monsignor Giovanni Battista Alfano e del medico Antonio Amitrano, elogiata caldamente da padre Agostino Gemelli. Si può quindi confidare nella gradazione dei due studiosi, secondo cui il prodigio di questo maggio è “pessimo”, penultimo grado della scala (l’ultimo è “nullo”), essendo avvenuto oltre le tre ore d’attesa. La percentuale tra miracolo infausto e successive calamità è stata calcolata in una media del 65, ma conforta il fatto che quello di maggio, fra i tre appuntamenti, è ritenuto il meno presagente (36%) contro l’89% di dicembre e ben il 94% di settembre.
A san Gennaro è attribuita, in tema previsivo, un’assoluta precisione per alcune tipologie calamitose che colpiscono la città: 100% riguardo a epidemie, rivoluzioni, invasioni e siccità, mentre la quota minore – il patrono non se ne interessa molto – concerne la premonizione di decessi papali (45%) e le persecuzioni religiose in senso lato (soltanto 37%).
Il sangue di Gennaro è intriso nelle vene della sua città, la sua identità ne è coincidenza fra il cielo e la terra. Stavolta forse c’è un però attenuante sia per il mancato prodigio di dicembre sia per l’ultimo pessimo. Nel primo caso si tratta dell’appuntamento cui più spesso il santo è mancato e che la credenza popolare collegava alla sorte – anzi alla morte – degli arcivescovi. Preso alla lettera ve ne sarebbe stata una strage nella storia, eppure sarà un caso ma il 16 dicembre scorso avvenne il passaggio di testimone dal cardinale Sepe al cardinale Battaglia, per cui è presumibile che il patrono sancisse col suo “atteggiamento” l’addio al pensionando porporato.
Per il prodigio di maggio, la mancanza della tradizionale processione con la spola tra il Duomo e la Basilica di Santa Chiara – conseguente alla pandemia – potrebbe spiegare la tristezza o il disappunto, più che un’indicazione presagente, del santo. (P.s.: sempre Cicap permettendo, in tutte le epidemie di colera che tormentarono Napoli nell’800, Caso o Provvidenza vollero che i segni del patrono ne scandissero i corsi con più precisione di un epidemiologo).