AGI – Milano, 28 apr. – Il Ministero della Salute decise di ‘restringere’ la nozione di caso sospetto di coronavirus tra il 22 e il 27 gennaio 2020 presumibilmente sulla base di una valutazione discrezionale e non di una “rivisitazione” di questa nozione da parte dell’Oms com’è scritto in un documento firmato da Francesco Maraglino, direttore dell’Ufficio ministeriale ‘Malattie Trasmissibili e profilassi internazionale’. Lo dice all’AGI Consuelo Locati, l’avvocato a capo del pool di legali impegnati nella causa civile promossa davanti al Tribunale di Roma da parte di 500 familiari delle vittime del Covid contro il governo.
“La definizione fu cambiata perché non eravamo pronti”
“Questo avrebbe compromesso l’individuazione immediata del contagio, la sorveglianza epidemiologica e quindi avrebbe facilitato la diffusione latente del virus, soprattutto in Lombardia e nel bergamasco e bresciano. Il Ministero della Salute dovrebbe spiegare ai cittadini sulla scorta di quali premesse abbia preso l’iniziativa di restringere la definizione di caso, in assenza di alcuna indicazione da parte dell’Oms, vincolando la detection del virus solo a chi aveva avuto contatti con la Cina nei precedenti 14 giorni”.
Il tema è anche oggetto di accertamenti da parte dei magistrati di Bergamo che indagano per epidemia colposa e falso in relazione alla riapertura dell’ospedale del comune bergamasco dopo la scoperta dei primi casi di contagio. Il pool di pm guidato da Antonio Chiappani vuole capire in base a quali indicazioni ‘dall’alto’ agirono i sanitari.
“Non posso dire con certezza se ci fosse o meno questo documento dell’Oms, io l’ho cercato senza trovarlo – spiega all’AGI Giuseppe Marzulli, all’epoca direttore medico del polo sanitario di Alzano Lombardo, sentito come testimone dai pm -. Quello che so per certo è che la circolare ministeriale del 22 gennaio dava delle indicazioni corrette consentendo ai medici di sospettare casi di Covid anche in assenza di viaggi. Se questa definizione giusta fosse rimasta i medici avrebbero potuto chiedere di fare il tampone anche a chi aveva una polmonite anomala in assenza di altre circostanze”.
Anche Marzulli, come Locati, ipotizza, precisando che è una sua “opinione”, che la restrizione della nozione di caso “sia stata scelta dal Ministero in via discrezionale perché se no sarebbero stata necessaria una quantità di tamponi che non c’era”.
Il documento “introvabile” dell’Oms
In questa circolare ministeriale del 22 gennaio , si legge che vanno segnalati non solo i casi di chi ha “un’infezione respiratoria acuta (SARI) con febbre e tosse che ha richiesto ricovero in ospedale, senz’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica”, “chi ha una storia di viaggi a Wuhan nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia”, chi svolge la professione di “operatore sanitario che ha lavorato in ambienti con pazienti con infezioni respiratorie acute gravi”, ma anche quelli di persone che “manifestano un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica”. “Misteriosamente”, commenta Locati, nella circolare del 27 gennaio 2020 scompaiono questi ultimi casi e restano solo i primi.
Il 21 aprile 2020 Maraglino in una mail alla segreteria del viceministro Pier Paolo Sileri si riferisce al “passaggio della definizione di caso” tra la circolare del 22 gennaio “che invitava a segnalare come sospetto il caso di una persona che manifesta un decorso clinico senza tener conto del luogo di residenza o della storia di viaggio” e quella del 27 gennaio in cui questa frase “scompariva”. Maraglino spiega che “la definizione di caso viene data dall’Oms e noi (come gli altri Stati) la cambiamo di conseguenza” e che il “21 gennaio l’Oms ha rivisto la definizione di caso, cosa che noi abbiamo recepito nella circolare del 27 gennaio”. Ma, secondo Locati, non è così.
“Le linee guida ad interim che non restringevano la definizione”
“Dopo lunghe ricerche, non abbiamo trovato questo documento che cambierebbe le carte in tavola. Sul sito dell’Oms ci sono tre documenti di linee guida ad interim dell’11, 15 e 31 gennaio. In tutte queste, nel definire un caso sospetto si fa riferimento anche a persone affette da un’infezione severa acuta senza tener conto del luogo di residenza o di una ‘storia’ sospetta di viaggi”.
“Nelle circolari ministeriali risultano riferimenti a documenti che non ci risulta esistano e che sicuramente sono diversi dalle linee guida ad interim dell’Oms in nostro possesso emanate fino al 30 gennaio 2020 – prosegue Locati -. Forse perché vi era contezza della scarsità di laboratori, e che non si erano fatte scorte o approvvigionamenti di tamponi e reagenti per il tracciamento epidemiologico? Basti pensare come su una popolazione di 10 milioni di abitanti ce ne fossero solo tre di laboratori in Lombardia, come lo stesso Ministero attesta nella circolare del 22 febbraio 2020, nella quale peraltro parrebbe attribuirsi la paternità della modifica di definizione di caso. Peccato che a oggi quasi 116 mila vittime, che noi legali rappresentiamo, pretendano legittimamente che di ogni atto venga data giustificazione documentale, seria e dignitosa oltre che decente”.