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La bufala del virus buono che “prima o poi si placherà da solo”

Apr 28, 2021

Un fantasma si aggira per l’Italia. E’ quello del virus buono, che si adatta al suo ospite con una diminuzione della sua pericolosità. Di seguito, una selezione delle affermazioni che mi sono arrivate ieri, in un solo giorno, da persone in buona fede, convinte dagli illusionismi verbali di qualche luminare sulle cui responsabilità preferisco non indugiare; sotto di ognuna una rapida risposta. Vorrei che si capisse una cosa: la natura non procede a nostro vantaggio. Se un processo darwiniano dovesse portare a una specie che provochi sofferenza e morte per noi, quel processo andrà avanti a meno di interventi che solo la ragione, con l’ausilio delle tecniche moderne, può mettere in campo.

Anche in questo caso la vittoria non sarà mai definitiva, perché dovremo inseguire questo o il prossimo patogeno per sempre. Se smettessimo di investigare, di cercare, di investire in ricerca, l’esito sarebbe la diminuzione sia del numero di abitanti umani di questo pianeta sia della loro salute e della loro durata di vita. Lasciata a se stessa, la natura può produrre ogni sorta di sofferenze, purché queste siano utili all’espansione di un qualche genoma non necessariamente il nostro. Solo il nostro cervello può adattarsi con velocità sufficiente per contrastare certi processi naturali a noi sfavorevoli, tanto come individui quanto come specie; sempre che, naturalmente, decidiamo di usarlo e, come società, di investire sulle menti migliori che abbiamo. Dunque, ecco la breve rassegna promessa. “La variante clinicamente peggiore è destinata ad autoestinguersi o ad autolimitarsi: i virus meno letali sono e più hanno modo di replicarsi”.

 

La letalità e la replicazione di un virus sono indipendenti. Un virus potrebbe essere infallibilmente letale – uccidendo tutti gli infetti – ma causare una morte lenta a sufficienza da infettare tutti gli individui venuti in contatto con il suo ospite prima di ucciderlo. La trasmissione di Sars-CoV-2 avviene in misura importante nello stadio presintomatico, indipendentemente dal fatto che chi ne è infettato e lo trasmette ad altri, successivamente ne muoia. Inoltre, la specie umana è abbondantissima, i suscettibili sono ancora tantissimi e siamo molto mobili e molto sociali: tutte caratteristiche che indicano come questa pandemia non si fermerà da sola, a meno di eventi fortuiti imprevedibili (e su cui è da pazzi fare conto). “Evolutivamente non si va verso l’equilibrio parassita-ospite? Cioè un parassita via via meno aggressivo?”. L’evoluzione procede in una sola, prevedibile direzione: quella di favorire individui in grado di lasciare più discendenti. Chi è più abile a lasciare un numero maggiore di figli, nella generazione successiva sarà più rappresentato e, generazione dopo generazione, rimpiazzerà chi lascia meno discendenti. Se, nel caso dell’interazione tra Sars-CoV-2 e umano, questo prevede uno stato stazionario in cui la popolazione umana sia a livelli molto più bassi dell’attuale, a meno di interventi medici questo è ciò che succederà. Chi, pur avendo una laurea in materie scientifiche, non ne è convinto, farebbe bene a tornare a studiare; tutti gli altri possono vedere cosa è successo alle popolazioni degli amerindi, quando sono state esposte ai patogeni europei, e domandarsi se quei parassiti si siano rabboniti, o se invece a prevalere alla fine non sia stata un’immunità di popolazione raggiunta dopo uno sterminio. Questo è “l’equilibrio ospite-parassita” verso cui si va se non si interviene: uno stato stazionario finché, per esempio, il virus non muti nuovamente, in cui un numero più o meno ampio di individui della specie ospite muore stabilmente ogni anno. Non è un equilibrato ed armonico convivere, ma una strage fissa. “Ogni variante ‘che ce la fa’ non solo è verosimilmente più trasmissibile, ma dovrebbe avere una tendenza minore a uccidere il suo ospite, tenendolo in vita in modo da potersi replicarsi di più”, e anche, in forma più succinta: “Sicuramente una variante più letale non è evolutivamente vantaggiosa”.

 

Se, per ipotesi, un virus uccidesse tutti gli esseri umani dopo l’età riproduttiva, procurando sofferenze, esso continuerebbe a farlo; nessuna selezione ne diminuirebbe la patogenicità, perché la malattia non avrebbe effetto sul numero dei componenti di ogni generazione della sua specie ospite, ma solo sull’età media nella popolazione e sull’abbondanza delle generazioni più anziane. Sars-CoV-2 tende preferenzialmente a uccidere individui che si sono già riprodotti. Se poi un virus uccidesse tutti, trascorso un periodo infettivo asintomatico lungo a sufficienza, nessun vantaggio avrebbero quei virus che diminuissero la propria pericolosità clinica, fino a che la specie ospite sia sufficientemente abbondante. Siccome ciò che conta ai fini del successo di una variante del virus è la sua trasmissibilità (influenzata a sua volta da molti fattori), essa aumenterà nella popolazione finché il virus si replicherà a livelli elevati, senza nessun prevedibile effetto sulla letalità. Questo è ciò che si sta osservando per Sars-CoV-2, che può aumentare la sua capacità di riconoscere il recettore umano, la sua residenza nelle alte vie aeree, la sua stabilità nell’aria e altre mille caratteristiche potenzialmente migliorabili attraverso mutazione e selezione. Insomma: purché un virus dia il tempo alla specie ospite di riprodursi e agli individui infettati di trasmettere, la letalità e la patogenicità saranno alterate in maniera casuale dalle mutazioni che dovessero occorrere; e lo stesso processo casuale che può portare a un’attenuazione può portare anche a varianti clinicamente più nefaste.

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