AGI – Il Recovery plan del governo Draghi si avvia al traguardo finale ma resta il nodo delle risorse per la proroga del superbonus e della governance. Oggi il piano da 221 miliardi approderà in Consiglio dei ministri per un primo esame. I dettagli saranno definiti nel weekend e lunedì e martedì il premier lo presenterà alle Camere. Il via libera definitivo dovrebbe arrivare tra mercoledì e giovedì, in tempo utile per l’invio a Bruxelles il 30 aprile.
L’impegno per rispettare la tabella di marcia è stato confermato nella riunione di stamattina tra il premier, i capidelegazione della maggioranza e i ministri competenti. Ma ci vorrà ancora del tempo per superare alcuni scogli, a partire dal superbonus. Nelle tabelle in circolazione emerge che i fondi a disposizione sono solo 18 miliardi: 10,26 di già stanziati e 8,25 di risorse del fondo extra Recovery, una dote ritenuta non sufficiente per prorogare la misura al 2023.
Ad oggi l’estensione del superbonus è prevista fino al 2022. La Legge di bilancio 2021 lo ha prorogato al 30 giugno 2022 per le singole case e al 31 dicembre 2022 per i lavori riguardanti gli edifici condominiali. Per i 5 Stelle la proroga del superbonus è “irrinunciabile”. Il Movimento chiede quindi di allungare la detrazione al 110% “fino alla fine del 2023, valutando di includere tutte le tipologie di edifici”. Sulla stessa linea anche Confindustria secondo cui la mancata proroga “sarebbe un gravissimo errore perchè danneggerebbe il settore delle costruzioni, che è volano dell’economia”.
Il dibattito sul Superbonus
“La proroga è necessaria, tanto più che il Superbonus è partito in ritardo viste le complessità amministrative”, afferma Emanuele Orsini, Vice Presidente di Confindustria per il credito, la finanza e il fisco. “Una scelta miope quanto incomprensibile perchè penalizza fortemente il manifatturiero. Invece di destinare ancora una volta ingenti risorse ad Alitalia, il Governo dovrebbe puntare sull’industria, l’unica ad aver reagito ai colpi della crisi e che continua a sostenere il Paese”, sottolinea Orsini.
Il Piano messo a punto dal governo prevede un pacchetto complessivo di investimenti per 221,5 miliardi che nelle stime del governo consentiranno nel 2022-2026 una crescita media del Pil di 1,4 punti percentuali più alta rispetto al 2015-2019 con un impatto di tre punti percentuali rispetto allo scenario di base al 2026. Da sciogliere anche il nodo della governance che dovrebbe essere definita nelle prossime settimane con un decreto. La regia del Piano rimarrà a Palazzo Chigi ma parteciperà ai lavori tutta la squadra di governo.
I compiti di monitoraggio, rendicontazione e trasparenza saranno comunque incentrati al ministero dell’Economia mentre i ministeri e gli enti locali e territoriali avranno la responsabilità diretta dell’attuazione dei progetti. Il Mef fungerà quindi da “punto di contatto unico” per le comunicazioni con la Commissione europea mentre i ministeri e gli enti saranno responsabili per la realizzazione degli investimenti e delle riforme entro i tempi concordati e la gestione regolare, corretta ed efficace delle risorse. Ai 191,5 miliardi finanziati con il Recovery Fund europeo si affiancano quindi, nella nuova stesura del piano, i 30,04 del Fondo complementare nazionale finanziato in deficit con lo scostamento di bilancio approvato dal Parlamento. Il fondo extra sarà utilizzato per coprire i progetti che resteranno fuori dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che potranno avere scadenze più lunghe e svincolati dall’obbligo di rendicontazione all’Ue.
Confermata la struttura in sei missioni e 16 componenti. Per Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura sono previsti 42,5 miliardi, per Rivoluzione verde e transizione ecologica 57, per Infrastrutture e mobilità sostenibile 25,3 miliardi, per Istruzione e ricerca 31,9, per Inclusione e coesione 19,1 e per Salute 15,6.
Gli investimenti che saranno finanziati dal Recovery
In totale il fondo complementare finanzierà 29 investimenti destinando circa 12 miliardi alla missione Rivoluzione verde, di cui 8,25 per il superbonus al 110% a compensare il calo della quota europea rispetto alla versione originaria del governo Conte bis. Al digitale saranno destinati altri 6,13 miliardi di cui 1,4 andranno a progetti legati allo sviluppo della banda ultralarga e alla diffusione del 5G. Altri 600 milioni saranno messi in campo per il potenziamento dei servizi digitali e di cittadinanza digitale come PagoPa e l’app Io.
Previsto anche uno stanziamento di 300 milioni per il potenziamento del polo produttivo di Cinecittà. Inoltre 1,3 miliardi per le tecnologie satellitari e l’economia spaziale e 1,76 miliardi per investimenti su patrimonio culturale, edifici e aree naturali. Alle infrastrutture per una mobilità sostenibile andranno 6,12 miliardi. Per il rinnovo delle flotte di bus e navi green sono previsti 1,4 miliardi, altri 1,73 miliardi saranno messi in campo per il rafforzamento delle linee ferroviarie regionali, 2,8 miliardi complessivi per vari interventi sui i porti.
Verranno destinati 1,78 miliardi alla ricostruzione delle aree del terremoto del 2009 e 2016 (l’Aquila e Centro Italia), 300 milioni andranno invece al Sud per il miglioramento dell’accessibilità e della sicurezza delle strade e altri 350 milioni per creare ecosistemi dell’innovazione in contesti urbani marginalizzati.
All’Inclusione e coesione andranno 3,25 miliardi e alla Salute 2,89. Sembra destinato a saltare l’intervento da circa 5 miliardi a sostegno dell’operazione cashback per favorire i pagamenti digitali. Trovano conferma gli incentivi fiscali del piano Transizione 4.0 con 18,5 miliardi e la banda ultralarga che viene ulteriormente ampliata e portata a 5,3 miliardi di cui 4 per progetti nuovi.
Nel piano finale il governo stima, rispetto ai grandi obiettivi posti dalla Commissione europea, una quota del 24% di investimenti per la digitalizzazione, del 38% per il contrasto al cambiamento climatico e di poco superiore al 10% per la coesione sociale. Il piano sarà accompagnato da alcune riforme strutturali, a partire da quella della pubblica amministrazione e della giustizia. Tra le altre riforme previste, quella del codice degli appalti, e alcune più settoriali come nuove regole per la produzione di rinnovabili e interventi sul contratto di programma per le Ferrovie.