Un chip da impiantare nel cervello per amplificare la memoria, ecco un altro topos della fantascienza che diventa realtà. Più o meno: non si tratta infatti di una cosa alla Johnny Mnemonic, ma la proposta della startup Kernel è comunque di quelle che fanno strabuzzare gli occhi.
L’azienda propone infatti un piccolo microchip da inserire chirurgicamente nel cervello del paziente. Il dispositivo è pensato per chi soffre di Alzheimer o altre forme di demenza, o chi ha problemi di memoria dovuti a un trauma.
Se Kernel dovesse riuscire nel suo intento, i medici dovranno inserire il chip in prossimità dell’ippocampo, una parte del cervello che, tra le altre cose, fa funzionare la nostra memoria a lungo termine. Qui gli elettrodi del chip stimoleranno alcuni neuroni per farli funzionare meglio, compensando così eventuali problemi.
Ci sono diversi passaggi che rendono possibile la stimolazione della memoria: prima il chip registra le attività elettrica quando il soggetto impara qualcosa di nuovo – ciò che potremmo chiamare la creazione del ricordo. Successivamente questi segnali vengono “tradotti”, perché il cervello usa codici diversi per l’apprendimento e per la memorizzazione. A questo punto il chip è in grado di stimolare il cervello con i ricordi che ha memorizzato.
Ammesso e non concesso che la tecnica sia quella giusta, nulla esclude che in futuro si possano anche creare ricordi del tutto artificiali, magari a distanza. Quella scena di The Matrix Reloaded in cui Neo chiede un corso di pilotaggio per elicotteri “al volo” potrebbe apparire un po’ meno fantasiosa.
Restando con i piedi per terra (non è facile), il dispositivo è basato su ricerche svolte presso il Center for Neural Engineering (Univisersità della California del Sud, UCLA). Il responsabile di questi studi, Ted Berger, ha già ottenuto ottimi risultati su ratti e primati, e sono già in corso i test sugli esseri umani. È convinto, quindi, che i tempi siano maturi per un vero e proprio apparato medicale.
“Prendiamo questi codici di memoria, li amplifichiamo e li rimettiamo nel cervello“, spiega sinteticamente Berger, che è anche il responsabile scientifico di Kernel. L’Amministratore Delegato, nonché principale finanziatore, è invece Bryan Johnson, imprenditore che nel 2013 vendette la sua società di pagamenti a PayPal per 800 milioni di dollari. Denaro che poi impiegò per creare OS Fund, fondo d’investimento che punta esplicitamente a “riscrivere il sistema operativo della vita“, da cui probabilmente si è preso il nome Kernel. Anche la DARPA ha finanziato il progetto, oltre ad averne uno del tutto uno simile.
È pur vero, d’altra parte, che sappiamo ancora molto poco su come il nostro cervello crea ed elabora i ricordi. Kernel può contribuire a fare luce su una materia che è in gran parte ancora misteriosa. Nel corso delle ricerche Berger ha scoperto che, nei ratti, la creazione dei ricordi crea sequenze elettriche che in parte sono comuni a tutti gli esemplari, ma questo fenomeno non si verifica nei primati. Ammettono tuttavia che la base di dati è ancora piuttosto limitata. Quanto agli umani, Berger afferma che “anche se ci fosse del codice mnemonico generico, sarebbe difficile trovarlo con gli strumenti che abbiamo adesso”.
Un problema che rimanda direttamente al numero di neuroni: 200 milioni nei ratti e 86 miliardi negli esseri umani (al netto delle battute su parenti e amici). L’analisi è proporzionalmente più complessa. Gli elettrodi collocati nel cervello umano registrano infatti una percentuale molto minore di neuroni, e questo rende meno precise le informazioni ottenute.
Il punto di partenza quindi non è dei più solidi ma questo forse rende ancora più ammirevole l’iniziativa di Kernel e l’idea di creare un prodotto commerciale finito. Un prodotto che, tuttavia, non sarebbe il primo impianto cerebrale: esiste già, per esempio, il DBS (Deep Brain Stimulation) usato per trattare i malati di Parkinson, e sono in corso esperimenti per alcuni tipi di disordini neurologici. Senza dimenticare naturalmente che altri scienziati stanno pensando di usare nanorobot fatti di DNA e controllati dalla mente.
Quando pensiamo a un cyborg di solito ci immaginiamo quelli che abbiamo visto in molti film, e tendenzialmente pensiamo alla contaminazione tra uomo e macchina come a qualcosa che esiste in un futuro più o meno remoto. Eppure Kernel, FundOS e tante realtà simili sono qui, oggi. Forse dovremmo rivedere le nostre convinzioni?