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Le plusvalenze di Rep.

Apr 13, 2021

E’ un lavoro duro, ma qualcuno lo deve pur fare. E’ un lavoro difficile, e per farlo ci vuole qualcuno bravo. Bravo davvero, eh. Cosa si fa se hai la squadra un po’ imbolsita, con troppi senatori dal rendimento calante ma che devono sempre dire la loro? Cerchi di sfoltire. Nel mondo del calcio ci sono un paio di paroline magiche, una si chiama plusvalenza e l’altra rescissione del contratto. Quando insomma cerchi una buona uscita per qualcuno ma la camuffi un po’. Cambi la squadra, e anche il modulo di gioco che non funzionava più, senza stare a fare proclami. Anzi se sei bravo riesci a far sembrare il tuo risparmio un bell’investimento per la concorrenza. Non vale soltanto per il calcio, ovviamente. Tra pochi giorni Maurizio Molinari festeggerà il primo anno sulla tolda di Repubblica, e gli va riconosciuto che quel tipo di lavoro lo sta facendo, e bene.

 

L’osservazione nasce in verità da un fatto laterale, non direttamente legato al giornale di Largo Fochetti. E’ l’ultimo, trasandato e indigeribile, caso Michela Murgia. Quello degli uomini in divisa che le fanno paura, come ha detto al circo Barnum Lilli Gruber. L’hanno giustamente sottoposta a  un pesante brain-shaming. Al gruppo Gedi qualcuno doveva pure occuparsene, la vestale collabora sia con Rep. che con la Stampa. E’ finita che la faccenda è scivolata  tutta sul groppone di Massimo Giannini, che da un anno è trasmigrato a Torino, come direttore, cercando di trapiantarvi un po’ dell’allure barricadero che nella Roma di Molinari fa invece molto demodé. Da un anno, Murgia perde posizioni sulle pagine di Rep., mentre alla Stampa ha trovato il nuovo palcoscenico. Così prima è toccato al buon Francesco Grignetti intervistarla, poi è arrivata Dacia Maraini a difenderla (anche lei in questo caso lontana dalla real casa romana). E ieri c’era (in prima pagina, olè) addirittura una lettera dell’ex generale Dino Tricarico, che si scusava  per aver (altrove) preso a male parole Murgia. Come mettere fuori rosa quel che non ti interessa più. Ma il capolavoro di mercato è stata l’uscita di Roberto Saviano, passato alla concorrenza.

 

La nuova Rep. di Molinari si è liberata di un trombone ormai stonato, facendola passare per una grave minusvalenza, e lo ha messo nell’orchestra di Urbano Cairo. Dove però non sanno bene cosa fargli fare. Ultima “polemica” conosciuta: Dante. Prime vaghezze sul Chapo, l’amore ai tempi del Covid. Cose che ai lettori, boh. Bel colpo. Anche Walter Veltroni non era forse più funzionale al progetto squadra, e anche lui è andato ad allargare la rosa già pletorica dei commentatori del Corriere. Alcune operazioni sono state più vistosamente tranchant, come gli addii senza particolari lacrime (del direttore) di Gad Lerner, di Enrico Deaglio, di Luca Bottura. Per patriarchi come Corrado Augias è stata apparecchiata un’uscita con applauso, facilitata da qualche scivolone. In altri casi è stata una dissimulazione più soft, come la diluizione delle presenze di Michela Marzano anche lei in direzione Giannini, o di Nadia Urbinati, finita a parlare di genocidi su Domani, che per stare al calcio è un po’ il Monza di CdB, dove è approdato un altro pezzo da novanta di Rep., Attilio Bolzoni, principe degli antimafiologi, con un addio pieno di amarezze. Mentre la Stampa, complice Giannini, sembra a tratti la bad company di Molinari. Qualche operazione non è andata, si parlò di un altro viaggio Roma-Torino, per Annalisa Cuzzocrea, ma non se ne fece nulla e la nota firma della cronaca è rimasta, puntellando il suo spazio vitale. Intanto Repubblica di carta ha festeggiato qualche giorno fa la se stessa digitale, con una pagina sui dati di crescita di tutto il settore online. Che è il vero schema della nuova squadra, tanta cronaca, longform e meno rotture di balle ideologiche. Per quelle, ci sono le plusvalenze e le seconde squadre.

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