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A Spinaceto sulle tracce di Biot. Pochi russi e molto cemento

Apr 2, 2021

Un tempo era sinonimo di bruttezza. “S’inserisce sempre nei discorsi per parlarne male”, diceva Nanni Moretti in “Caro Diario” basculando sulla sua vespa per andare a verificare il luogo comune, per poi scoprire con sopresa: “Beh Spinaceto pensavo peggio, non è per niente male”. Da martedì però non è più l’estetica cementizia il cruccio del quartiere, perché Spinaceto è diventato il luogo della più improbabile spystory in salsa capitolina. E’ qui che gli uomini del Ros dei Carabinieri hanno fermato e arrestato due giorni fa Walter Biot, capitano di fregata della Marina militare che in cambio di 5mila euro vendeva informazioni riservate alle spie russe. Proprio a due passi dalla zona in cui i carabinieri hanno colto in flagrante il militare e l’agente di Mosca, c’è il centro commerciale Spinaceto. Il titolare del bar all’ingresso, un giovane con accento dell’est Europa, non vuole assolutamente parlare della storia. “Non sappiamo niente, non abbiamo visto nulla”. Proviamo a replicare invitandolo a leggere la notizia sul giornale. “Noi qui ci svegliamo la mattina per alzare due spicci mica possiamo pensare ai giornali e alle storie di spie”, dice infastidito.

Fuori il cemento, sole e silenzio che neanche in zona rossa. Spinaceto, luogo d’intrighi o di bruttezza resta indubbiamente un quartiere dormitorio. In strada e tra i palazzi non c’è quasi nessuno. I pochi presenti sono assiepati intorno alle tavole calde e ai bar. In uno di questi – su via dei Caduti della guerra di liberazione, uno dei due stradoni paralleli che zigzagando percorrono la spina di palazzi di cemento armato, cuore del quartiere – il propietario, Riccardo, 71 anni, è decisamente più loquace, ma riconosce subito: “Mai visti russi da queste parti e tanto meno capitani di fregate, qui vive tutta gente umile, quello sarà stato di Tor de’ Cenci. Io comunque sono scioccato, ma dico sei un capitano… ti puoi vendere per 5mila euro?”. “Eh, Riccà, ma oggi la situazione è dura per tutti”, interviene più comprensiva la parrucchiera accanto. “Co ‘sta pandemia la gente non c’ha più un euro”, dice, cogliendo puntualmente l’aspetto tragicomico della vicenda. Ieri al gip Biot diceva: “Sono un uomo disperato, sono pieno di debiti”, spiegando con le ristrettezze economiche il tradimento. Sotto i portici squadrati dei palazzoni c’è un altro bar, l’Arcobaleno. Due vetrine alle quali sono appese una miriade di stampe a tema cinematografico-culinario.

 

Si alternano foto iconiche della commedia all’italiana (da Totò e Peppino che stampano soldi falsi ad Alberto Sordi, americano a Roma che sfida l’Amatriciana), a cassatine, cannoli e ROTOLO DI SAN GIUSEPPE (scritto tutto maiuscolo con tanto di punti esclamativi). Specialità sicule, come il titolare del locale, Armando un vecchietto sdentato e vivace, arrivato a Roma da Siracusa 13 anni fa. “Anche io per la stessa ragione per cui quello vendeva le informazione: i soldi”, scherza. Fuori dall’Arcobaleno una signora bionda parla fitto con un uomo alto e trasandato, capelli lunghi e t-shirt degli Acdc, si chiama Roberto. Russi ne avete visti? “E che no so qui è pieno di rumeni ci si può confondere”, ride lui. La bionda, Guia, 64 anni, toscana esportata a Spinaceto, è ancora più chiara: “Figlio mio con questo Covid siamo chiusi in casa tutto il giorno, i russi come li vedevamo?”. Lei ha un’idea tutta sua della storia. Le puzza il fatto che gli scambi avvenissero dentro scatole di medicinali: “Devi parlare con i farmacisti e con i fornitori… quelli sanno qualcosa, magari ci stanno pure in mezzo che ne sai…”, dice allusiva. Per gioco seguiamo la sua strampalata teoria. Andiamo in farmacia. La dottoressa Marina Antonucci, 60 anni, quasi arrosisce: “Oddio in effetti negli ultimi mesi un paio di russi a comprare qualcosa sono venuti, però, insomma, mi sembravano brave persone”.

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