Fin dall’inizio della pandemia è apparso evidente che il rischio di conseguenze gravi dell’infezione si concentrasse soprattutto sulle fasce più anziane della popolazione. Dal momento in cui sono stati disponibili i vaccini, che come sappiamo sono ancora un bene limitato rispetto alla domanda, la campagna di vaccinazione si è tuttavia diretta in modo molto eterogeneo a seconda delle regioni. Per favorire fasce di popolazione che non rientravano statisticamente tra coloro che rischiavano maggiormente la pelle, si è proceduto in due modi.
Innanzitutto, si sono rilassati a dismisura i criteri individuati: è così che, fra i sanitari – la categoria giustamente identificata come a massima priorità – sono stati fatti rientrare soggetti che, in realtà, priorità non avevano, come molta parte del personale amministrativo, molti studenti di Medicina di diversi livelli, molti ricercatori in enti ove nessun paziente mette mai piede (e che spesso sono peraltro a lavorare a casa, in remoto). Questo è avvenuto un po’ dappertutto, ma successivamente si è realizzato di peggio, in particolare in alcune regioni: dai magistrati agli avvocati, dai professori universitari ai giornalisti, chi ha sgomitato di più, in regioni ove le rispettive categorie ancora contano, è passato avanti.
Si è fatto passare il concetto, cioè, che il rischio sulla base del quale priorizzare le vaccinazioni fosse quello dell’infezione, e non quello delle sue conseguenze cliniche; e una volta concessa questa furberia, le categorie più forti localmente, meglio innervate al sistema ospedaliero o con maggiore potere contrattuale hanno avuto buon gioco a dimostrare tutto il pericolo che correvano, per entrare nei tribunali, per incontrare (forse) qualche studente, per esercitare il difficile mestiere dell’intervista e così via.
Ma il rischio, quello vero, è quello di rimetterci la pelle, oltre che di finire in ospedale; solo che, a meno di non essere un magistrato o un professore emerito ottantenni, questo rischio è svaporato, perché si è fatto passare che ciò che si dovesse limitare fosse il rischio di esposizione (anche quando magari non era particolarmente alto) e di ritrasmissione del virus; e per far valere questo concetto si è utilizzato tutto il potere della propria categoria, con successo variabile da regione a regione.
Alla fine, però, i conti si devono fare; e così vale la pena di guardare se la mortalità causata dal virus nell’ultima settimana, nei paesi europei che forniscono i dati al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), sia risultata influenzata o meno dal cambiare la logica con cui si somministravano i vaccini. La risposta dei dati è impietosa: se si considera la situazione al 30 marzo, la media mobile su sette giorni dei morti per Covid è risultata influenzata innanzitutto da due fattori, in positivo i nuovi infetti giornalieri per centomila abitanti (anche qui media mobile su una settimana), e in negativo dalla percentuale di copertura degli ultraottantenni (in misura quasi uguale al primo fattore).
La copertura vaccinale totale della popolazione risulta molto meno influente, e per nulla influenti risultano le differenze di distribuzione di età tra le varie nazioni europee. Ciò che era facile prevedere, è successo: vaccinare gli ultraottantenni (e poi gli ultrasettantenni) protegge da molti morti, mentre il contrario ha un’efficacia in questo senso molto minore, finché non subentri un minimo di immunità di gregge.
Ora in Italia abbiamo somministrato quasi un milione e mezzo di dosi, su circa dieci milioni, a soggetti definiti “altri”; cioè non a ultraottantenni (che devono ancora essere coperti in un’ampia porzione), non al personale sanitario, non alle forze dell’ordine e, in una parola, non a coloro che sembravano avere maggiore priorità. Sarebbe bene sapere chi sono: magari sono malati di altre patologie, magari sono tutti settantenni (che però chissà perché passano davanti agli ottantenni), o magari sono vaccinati con vaccini come AstraZeneca, su cui si sono messi limiti diversi a seconda del periodo. Sta di fatto che è indispensabile tornare a vaccinare, per primi, i soggetti davvero più a rischio; e magistrati, professori universitari, giornalisti o altri se ne facciano una ragione, e aspettino il proprio turno, come il presidente Mattarella ha fatto.