• 26 Novembre 2024 17:22

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L'”ombra” di Cesare Prandelli nel calcio dei bomber e dei superuomini

Mar 23, 2021

 

Cesare Prandelli non è più l’allenatore della Fiorentina. E non è più alla guida della Viola non perché sia stato rimosso dalla società, ma perché era il momento di fare un passo indietro. Almeno per lui.

  

In un paese dove vivono milioni di allenatori potenziali, dove il calcio occupa la maggior parte delle discussioni da bar, quand’erano aperti, e da social, lasciare una panchina di Serie A senza essere esonerati sembra un qualcosa di assurdo, impossibile solo a pensarlo. Chi mai lascerebbe il lavoro dei propri sogni, quello per cui ti pagano per guidare una squadra di calcio senza dover neppure installare un gioco sul pc? Nessuno. Eppure qualche volta accade, senza nemmeno in bisogno di litigare con il presidente.

In uno sport che culla in sé la convinzione di essere animato da superuomini capaci di tutto, nel quale il bomberismo un po’ spaccone è diventato parte integrante dell’immaginario del calciatore, nel calcio dei vasi di ferro, scoprirsi vaso di coccio è difficile da accettare e soprattutto da esternare. Fare i conti con il senso di inadeguatezza, essere attanagliati dai dubbi è qualcosa di umano che spesso il mondo dello sport, quasi tutto il mondo dello sport, rifiuta a priori. Sarà perché si è descritti spesso come una categoria di privilegiati, sarà perché va per la maggiore la litania del è peccato mortale sprecare il proprio talento, sarà perché in fondo molto spesso è più facile far spallucce dei problemi ed andare avanti: non è mai facile licenziarsi, salutare e andarsene. Soprattutto dirlo chiaramente, senza giri di parole.

 

Cesare Prandelli lo ha fatto. Chiaramente e senza giri di parole. Ha salutato e si è fatto da parte perché “in questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose”, ha scritto in una lettera pubblicata sul sito della Fiorentina

Non è semplice concedere tempo al tempo, soprattutto nello sport. E non è facile perché è complicato spiegarlo, provare a far capire che prima di essere uomini di sport, si è uomini e basta. A fine gennaio Tom Dumoulin aveva provato a spiegarlo annunciando la sua decisione di prendersi una pausa dal ciclismo. Aveva detto che dopo deciso “è come se uno zaino di cento chili mi fosse scivolato dalle spalle. Mi sono subito svegliato felice“.

 

Non è dato sapere quanto pesasse lo zaino di Cesare Prandelli. Quello che sappiamo è che la sua decisione l’ha presa, l’addio alla Fiorentina, e forse al calcio, è stato dato. Avrà sempre tempo per tornare sui suoi passi, intanto si è preso il suo, di tempo. Quello buono per capire a che punto è arrivato, se ha davvero senso continuare.

  

La lettera di Cesare Prandelli

“È la seconda volta che lascio la Fiorentina. La prima per volere di altri, oggi per una mia decisione. Nella vita di ciascuno, oltre che alle cose belle, si accumulano scorie, veleni che talvolta ti presentano il conto tutto assieme. In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono. Ho intrapreso questa nuova esperienza con gioia e amore, trascinato anche dall’entusiasmo della nuova proprietà. Ed è probabilmente il troppo amore per la città, per il ricordo dei bei momenti di sport che ci ho vissuto che sono stato cieco davanti ai primi segnali che qualcosa non andava, qualcosa non era esattamente al suo posto dentro di me. La mia decisione è dettata dalla responsabilità enorme che prima di tutto ho per i calciatori e per la società, ma non ultimo per il rispetto che devo ai tifosi della Fiorentina. Chi va in campo a questo livello, ha senza dubbio un talento specifico, chi ha talento è sensibile e mai vorrei che il mio disagio fosse percepito e condizionasse le prestazioni della squadra. In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose. Sono venuto qui per dare il 100%, ma appena ho avuto la sensazione che questo non fosse più possibile, per il bene di tutti ho deciso questo mio passo indietro. Ringrazio Rocco Commisso e tutta la sua meravigliosa famiglia, Joe Barone e Daniele Pradè, sempre vicini a me e alla squadra, ma soprattutto ringrazio Firenze che so che sarà capace di capire. Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”.

 
Cesare Prandelli non è più l’allenatore della Fiorentina. E non è più alla guida della Viola non perché sia stato rimosso dalla società, ma perché era il momento di fare un passo indietro. Almeno per lui.
  
In un paese dove vivono milioni di allenatori potenziali, dove il calcio occupa la maggior parte delle discussioni da bar, quand’erano aperti, e da social, lasciare una panchina di Serie A senza essere esonerati sembra un qualcosa di assurdo, impossibile solo a pensarlo. Chi mai lascerebbe il lavoro dei propri sogni, quello per cui ti pagano per guidare una squadra di calcio senza dover neppure installare un gioco sul pc? Nessuno. Eppure qualche volta accade, senza nemmeno in bisogno di litigare con il presidente.
In uno sport che culla in sé la convinzione di essere animato da superuomini capaci di tutto, nel quale il bomberismo un po’ spaccone è diventato parte integrante dell’immaginario del calciatore, nel calcio dei vasi di ferro, scoprirsi vaso di coccio è difficile da accettare e soprattutto da esternare. Fare i conti con il senso di inadeguatezza, essere attanagliati dai dubbi è qualcosa di umano che spesso il mondo dello sport, quasi tutto il mondo dello sport, rifiuta a priori. Sarà perché si è descritti spesso come una categoria di privilegiati, sarà perché va per la maggiore la litania del è peccato mortale sprecare il proprio talento, sarà perché in fondo molto spesso è più facile far spallucce dei problemi ed andare avanti: non è mai facile licenziarsi, salutare e andarsene. Soprattutto dirlo chiaramente, senza giri di parole.
 
Cesare Prandelli lo ha fatto. Chiaramente e senza giri di parole. Ha salutato e si è fatto da parte perché “in questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose”, ha scritto in una lettera pubblicata sul sito della Fiorentina. 
Non è semplice concedere tempo al tempo, soprattutto nello sport. E non è facile perché è complicato spiegarlo, provare a far capire che prima di essere uomini di sport, si è uomini e basta. A fine gennaio Tom Dumoulin aveva provato a spiegarlo annunciando la sua decisione di prendersi una pausa dal ciclismo. Aveva detto che dopo deciso “è come se uno zaino di cento chili mi fosse scivolato dalle spalle. Mi sono subito svegliato felice”.
 
Non è dato sapere quanto pesasse lo zaino di Cesare Prandelli. Quello che sappiamo è che la sua decisione l’ha presa, l’addio alla Fiorentina, e forse al calcio, è stato dato. Avrà sempre tempo per tornare sui suoi passi, intanto si è preso il suo, di tempo. Quello buono per capire a che punto è arrivato, se ha davvero senso continuare.
  
La lettera di Cesare Prandelli
“È la seconda volta che lascio la Fiorentina. La prima per volere di altri, oggi per una mia decisione. Nella vita di ciascuno, oltre che alle cose belle, si accumulano scorie, veleni che talvolta ti presentano il conto tutto assieme. In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono. Ho intrapreso questa nuova esperienza con gioia e amore, trascinato anche dall’entusiasmo della nuova proprietà. Ed è probabilmente il troppo amore per la città, per il ricordo dei bei momenti di sport che ci ho vissuto che sono stato cieco davanti ai primi segnali che qualcosa non andava, qualcosa non era esattamente al suo posto dentro di me. La mia decisione è dettata dalla responsabilità enorme che prima di tutto ho per i calciatori e per la società, ma non ultimo per il rispetto che devo ai tifosi della Fiorentina. Chi va in campo a questo livello, ha senza dubbio un talento specifico, chi ha talento è sensibile e mai vorrei che il mio disagio fosse percepito e condizionasse le prestazioni della squadra. In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose. Sono venuto qui per dare il 100%, ma appena ho avuto la sensazione che questo non fosse più possibile, per il bene di tutti ho deciso questo mio passo indietro. Ringrazio Rocco Commisso e tutta la sua meravigliosa famiglia, Joe Barone e Daniele Pradè, sempre vicini a me e alla squadra, ma soprattutto ringrazio Firenze che so che sarà capace di capire. Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”.

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