Le procure dell’Aquila, di Teramo e di Pescara hanno chiesto il rinvio a giudizio per l’imprenditore Carlo Toto, patron dell’omonimo gruppo che controlla Strada dei Parchi, concessionaria delle autostrade A24 e A25 che collegano Roma rispettivamente con Teramo e Pescara. L’accusa, gravissima, è di aver fatto rischiare la vita agli automobilisti evitando volutamente di effettuare i costosi lavori necessari a scongiurare il crollo dei molti ponti che caratterizzano l’infrastruttura.
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Domani è in programma l’udienza di rinvio a giudizio davanti al gup del Tribunale dell’Aquila, nell’ambito dell’inchiesta sullo stato strutturale di ponti e viadotti nei tratti del territorio aquilano. In concorso con altri tre dirigenti del gruppo, a Toto sono contestati i reati, a vario titolo, di attentato alla sicurezza dei trasporti e crollo di costruzioni o altri disastri dolosi, inadempienza nelle pubbliche forniture, inadempienza e frode nelle pubbliche forniture.
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Rischiano il processo anche il consigliere di amministrazione della holding del Gruppo Toto, Cesare Ramadori, all’epoca dei fatti amministratore delegato di Sdp, della quale oggi è presidente; Igino Lai, responsabile di esercizio di Sdp, e Gianfranco Rapposelli, amministratore delegato di Infraengineering, altra società del gruppo specializzata nella progettazione.
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Le accuse sono gravissime: secondo quanto scritto nella richiesta di rinvio a giudizio da parte dei pm, i quattro in concorso tra loro “nelle qualità e con le condotte descritte, mettevano in pericolo la sicurezza del pubblico trasporto autostradale, determinando uno stato di estremo deterioramento e il conseguente pericolo di crollo totale o parziale delle pile e degli impalcati, di 9 dei 25 viadotti”.
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Nello stesso provvedimento i pm, a proposito della responsabilità degli indagati, parlano di “lavori di adeguamento sismico realizzato poi con semplici interventi di prevenzione del fenomeno della cosiddetta scalinatura degli impalcato, finanziati con denaro pubblico, presentandoli poi anche nei consuntivi a lavori eseguiti come opere di messa in sicurezza antisismica, mentre in realtà consistevano nell’installazione di apparecchi di appoggio aggiuntivi, correttivi o sostitutivi del danno derivato dall’omessa manutenzione ordinaria che non modificano il comportamento statico e sismico delle strutture, e che comunque rientrano nel concetto di ordinaria manutenzione”.
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I Pm sottolineano anche che in riferimento ai coefficienti di sicurezza delle opere, per risparmiare i costi realmente necessari, venivano attribuiti fittiziamente requisiti di sicurezza attraverso calcoli di progetto in realtà non collegati alla struttura. L’inchiesta partita alcuni anni fa è scattata anche sulla base di esposti delle associazioni ambientaliste, in particolare il Forum H2O, da sempre critiche con la gestione di Sdp. In alcune di queste infrastrutture negli anni scorsi si sono verificati cedimenti di parte di impalcato oltre a essere visibili materiali ferrosi.
I riflettori delle Procure – oltre all’Aquila, indagano Pescara e Teramo – sulle infrastrutture autostradali si sono accesi in particolare dopo il tragico crollo del Ponte Morandi nell’agosto 2018. Sdp, anche nelle polemiche a distanza con il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ha sempre sostenuto di aver agito nel pieno rispetto di contratti e convenzioni garantendo la sicurezza tanto che nessuna autorità ha mai emesso provvedimenti di chiusura come invece accaduto per altre realtà. L’udienza preliminare davanti al Gup era saltata per improvvisa indisponibilità di un giudice il 27 gennaio scorso.