Città del Vaticano – Dice che questo è “il Natale della pandemia”, “della crisi sanitaria, economica sociale” ma “persino ecclesiale”. “La crisi – spiega ancora – ha smesso di essere un luogo comune dei discorsi e dell’establishment intellettuale per diventare una realtà condivisa da tutti”. Ma, spiega citando la filosofa ebrea Hannah Arendt, “gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per incominciare”. Nonostante il buio, dice in sostanza, la speranza della luce è più forte.
È uno degli appuntamenti vaticani più importanti dell’anno, il discorso del Papa alla Curia romana poco prima di Natale. E anche quest’anno non ha tradito le attese. Francesco che spinge per una Curia meno “corte pontificia” e più organo di servizio, parla della pandemia come occasione, “banco di prova non indifferente e, nello stesso tempo, grande occasione” per una conversione della Chiesa: “per convertirci e recuperare autenticità”, dice.
Il Papa spiega che la pandemia è una “tempesta”. Ma questa tempesta è utile perché “smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità”. Ci dimostra “come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità”. La tempesta, spiega ancora Francesco citando il suo discorso pronunciato il 27 marzo scorso in una piazza San Pietro deserta, “pone allo scoperto tutti i propositi di ‘imballare’ e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente salvatrici, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità”. Con la tempesta, aggiunge, “è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
È presente, nelle parole del Papa, l’eco dei recenti scandali che hanno investito la Chiesa e in particolare il Vaticano. Non fa nomi il Papa, ma spiega che riflettere su ci che non va deve mettere in guardia “dal giudicare frettolosamente la Chiesa in base alle crisi causate dagli scandali di ieri e di oggi”. La Chiesa non è solo buio: “Quante volte – dice – anche le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza. Una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire”. “Qui nella Curia sono molti coloro che danno testimonianza con il loro lavoro umile, discreto, senza pettegolezzi, silenzioso, leale, professionale, onesto”. Dio, racconta, “continua a far crescere i semi del suo Regno in mezzo a noi. Anche il nostro tempo ha i suoi problemi, ma ha anche la testimonianza viva del fatto che il Signore non ha abbandonato il suo popolo, con l’unica differenza che i problemi vanno a finire subito sui giornali, invece i segni di speranza fanno notizia solo dopo molto tempo, e non sempre”. Secondo Francesco, “chi non guarda la crisi alla luce del Vangelo, si limita a fare l’autopsia di un cadavere”.
Parlando ai dipendenti vaticani per gli auguri di Natale Francesco ha promesso: “Voi che lavorate nella Santa Sede siete la cosa più importante: nessuno va lasciato fuori, nessuno deve lasciare il lavoro”. “In questo momento tanto brutto”, ha affermato il Pontefice, “nessuno va cacciato via, nessuno deve soffrire l’effetto brutto economico di questa crisi”. “Ma tutti insieme dobbiamo lavorare di più – ha aggiunto -, dobbiamo aiutarci per risolvere questo problema che non è facile: qui non c’è Mandrake, non c’è la bacchetta magica. Aiutatemi a questo e io aiuto voi, e tutti insieme andiamo avanti come nella stessa famiglia”.