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2002: la seconda odissea. Il sequel che non era un sequel

Feb 4, 2018

Gli anni sessanta erano finiti …

Nei primi anni Settanta, i movimenti sociali e di protesta del decennio precedente si erano allontanati dal tema della guerra per manifestarsi nella vita quotidiana in molte altre direzioni. Tra di esse la principale era la preoccupazione crescente per i danni provocati dall’uomo all’ecosistema terrestre (ancor oggi un punto caldo dell’agenda politica).

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Le tematiche ambientaliste trovarono una sorprendente intesa con il genere fantascientifico, e iniziarono a uscire pellicole a sfondo ecologista come 2000: la fine dell’uomo (1970) e Un mondo maledetto fatto di bambole (1972). L’opera più ambiziosa di questa ondata, 2002: la seconda odissea (Silent Running), segnava il debutto registico del maestro degli effetti speciali Douglas Trumbull, che aveva esordito con le sequenze spaziali mozzafiato di 2001: Odissea nello spazio (1968) e Candy e il suo pazzo mondo (1968), e avrebbe poi proseguito con lavori pluripremiati come Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e Blade Runner (1982).

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A differenza dei tanti film odierni che si rivolgono a un pubblico già sensibile ai temi ecologisti, 2002: la seconda odissea non propone messaggi semplicistici. Offre invece agli spettatori una visione morale matura e complessa.

Il protagonista, Freeman Lowell (Bruce Dern), fa parte di un equipaggio spaziale cui vengono affidati gli ultimi resti della vegetazione terrestre. Quando riceve l’ordine di abbandonare il carico e fare ritorno sulla Terra, egli è lacerato da un profondo conflitto interiore, e uccide i suoi insensibili compagni di viaggio per preservare ciò che rimane di Madre Natura.

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Diventa così un fuggiasco spaziale, accompagnato solo da un trio di robot nelle profondità del cosmo. I tre robot, soprannominati Paperino, Paperina e Paperone (nella versione originale i tre robot si chiamano come i nipotini di Paperino, Huey, Dewey e Louie, i cui nomi italiani Qui, Quo e Qua avrebbero creato confusione con gli avverbi locativi), diventano sempre più umani attraverso la modifica della loro programmazione. Anche i loro movimenti (azionati da attori) li rendono più umani che robotici.

«Non esistono passeggeri sull’astronave Terra. Siamo tutti equipaggio.»

– Marshall McLuhan

Per quanto alcuni elementi appaiono datati (come la presenza parca ma non ignorabile di Joan Baez nella colonna sonora), il film rappresenta tuttora un pugno emotivo allo stomaco; in particolare, la devastante scena finale rimane una fra le più commoventi nell’intero panorama della fantascienza.

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La scelta di Dern come protagonista è stata oculata, dato che si era già mostrato capace di recitare credibilmente in bilico fra il carisma e la follia. Il suo comportamento solleva uno spinoso dilemma morale che il film fa cadere interamente sulle spalle del pubblico: gli spettatori odierni che dovessero etichettare le sue prime azioni come quelle di un hippie o di un terrorista, e giudicassero quindi l’intera pellicola in questi termini, si troverebbero certo a disagio con tutto ciò che segue. Uno degli sceneggiatori del film, citato sul poster come “Mike”, è meglio conosciuto come Michael Cimino, che avrebbe scritto e diretto lo strepitoso Il Cacciatore nel 1978.

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