AGI – “Io abito al Ghetto da sempre. Quel giorno, il 16 ottobre del 1943, ero in finestra e ho visto un nazista portare via mia madre. Avevo dodici anni. Quando sono sceso, l’ho trovata su un camion. Lei mi supplicava di andare via, ma io mi ero messo in testa di salvarla”. Sono le parole di Emanuele Di Porto, 92 anni, testimone del rastrellamento del Ghetto di Roma. ‘Il bambino del tram’, come viene chiamato, parla al Portico d’Ottavia, dove si svolgono le cerimonie in memoria della deportazione degli ebrei della capitale avvenuta il 16 ottobre del 1943 per mano dei nazisti. Oltre mille ebrei vennero strappati dalle loro case e deportati nel campo di sterminio di Auschwitz: tornarono soltanto 16 di loro.
“Un soldato tedesco, che era li’ vicino, ha preso anche a me. Mi ha messo sul camion – ha aggiunto Di Porto – dove mia madre continuava a rimproverarmi. Poi, non so come ha fatto, forse con una spinta, è riuscita a farmi scendere. Per farla contenta mi sono allontanato. Ho cominciato a camminare, fino a quando ho incontrato un camion pieno di altri ebrei. Mi conoscevano tutti, avevo paura che qualcuno mi chiamasse, per cui mi sono allontanato e sono salito su un tram. ‘Sono ebreo, mi stanno cercando i tedeschi’, ho detto al bigliettaio. Mi ha invitato a sedermi vicino a lui e mi ha offerto da mangiare. E prima di andarsene, visto che aveva finito il turno, mi ha affidato al suo sostituto. Alla fine sono rimasto nel tram due giorni e due notti”.
Di Porto prosegue ricordando che “la terza mattina una persona che conoscevo, di religione ebraica, mi disse che mio padre era preoccupato perché pensava che mi avessero portato via assieme a mia madre. Dopo tre giorni sono sceso dal tram per raggiungerlo”.