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Serie A, Sarri ripensaci: «Questo Napoli deve crederci»

Ott 4, 2016

di Antonio Giordano

martedì 4 ottobre 2016 10:15

NAPOLI – Perché non finisca con un referendum (ce ne sono già tanti, di più seri); perché non si debba passare al voto; perché si possa comunque avere una risposta, che sia un sì, che sia un no, che eviti il ni; perché il dibattito è aperto, l’ha lanciato Maurizio Sarri, che l’ha buttata lì mentre dentro di sé avvertiva ancora il peso soffocante d’una sconfitta (la prima), che gli ha occluso improvvisamente l’orizzonte. «La Juventus è di un’altra categoria e sta disputando un campionato a parte». Sette giornate alle spalle e trentuno da dover vivere nella precarietà dell’ospite d’un campionato che avrebbe uno ed un solo padrone: di già? Perché si capisca, allora, dove comincino i meriti altrui e dove il proprio dimensionamento»; perché si analizzi, con onestà intellettuale, quel che vale il Napoli, il «suo» Progetto, l’ambizione umanissima di un parco giocatori che rappresenta un’idea (alternativa) di football. Ecco, perché?

UOMINI SCUDETTO – È già successo di vivere nel sogno, di realizzarlo, di lasciarlo in eredità ad una città che non ha mai smesso poi d’aspettare che l’Evento si ripetesse: lo dice la Storia che, anno di grazia ‘86-87, furono giorni memorabili, il 10 maggio, la «rivoluzione partenopea» guidata da Ottavio Bianchi in panchina, quella squadra di Fenomeni nella quale Sua Maestà Maradona troneggiava dentro la Ma.Gi.Ca, con al fianco Salvatore Bagni, guerriero all’epoca ma anche adesso che si osserva dal buco della serratura. «Sarri è l’allenatore di una squadra meravigliosa, che lui stesso ha creato. E’ la squadra che gioca il miglior calcio italiano, e lo fa praticamente nel settanta per cento delle gare; è la squadra che non sa vincere però il restante trenta per cento di partite cosiddette sporche. Ma è una squadra che ha la possibilità, e direi anche il dovere, di avvertire fiducia in se stessa. E se dice che la Juventus fa un campionato a parte, c’è il rischio di togliersi qualche certezza».

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VERO, PERO’ – C’è stato (raramente) un calcio dominato da un solo padrone e nel settennato di Maradona, pur deambulando tra epoche e diversità varie, c’è stato un Napoli che ha fatto in tempo a prendersene due di scudetti. Anno di (nuova) grazia 1989-1990, Albertino Bigon sullo scranno e Re Diego incoronato ancora, ma stavolta avendo al fianco Antonio Careca, la Grande Bellezza del centravanti di quei momenti, che in Brasile non si perde nulla del «suo» Napoli, neanche tutto ciò che fa da contorno alla partita. Bergamo sa di monetina (ma quella era la lira), e stavolta non di giudice sportivo e vittorie a tavolino; e mentre l’eco del pensiero di Sarri s’è diffuso, è arrivato sin laggiù, se ne lancia un’altra: testa o croce? «Due considerazioni, sperando di centrare l’obiettivo. La prima: Sarri dice una verità, perché la Juventus ha l’organico più completo, direi anche quello più forte. La seconda: però è anche vero che noi siamo napolitanos e quelli come noi ci credono sempre, ci devono sempre credere».

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