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Auto elettriche, Amnesty International: batterie alimentate dal lavoro minorile

Ott 6, 2016
Auto elettriche, Amnesty International: batterie alimentate dal lavoro minorile

L’automobile elettrica è vista da molti come una scelta ecosostenibile, ecocompatibile e socialmente accettabile. Tutto ciò solo perché non vengono utilizzati petrolio e suoi derivati per azionarne i propulsori. Ma sarà una scelta davvero green?

Amnesty International lancia l’allarme. «Le auto elettriche potrebbero non essere così pulite come si pensa. I consumatori devono avere la certezza che le loro auto verdi non siano collegate alla miseria del lavoro minorile. I frequentatori del Salone di Parigi comprerebbero un’auto se sapessero che è costata l’infanzia di qualcuno?» commenta Mark Dummet, ricercatore di Amnesty su imprese e diritti umani. «È emerso un sostanziale rischio che il cobalto estratto dai bambini finisca nelle batterie delle auto elettriche. Siccome questi veicoli vengono presentati come una scelta etica per automobilisti consapevoli dal punto di vista ecologico e sociale, le aziende che li producono devono chiarire e dimostrare che agiscono con diligenza nel procurarsi i materiali con cui li fabbricano.»

Amnesty International ha chiesto ai produttori di auto elettriche di informare la clientela sulle verifiche che stanno svolgendo per garantire l’assenza totale di lavoro minorile dalla linea produttiva. Nella Repubblica Democratica del Congo sono impiegati circa 40 mila bambini di sette anni a ritmi serrati di 12 ore al giorno per estrarre il cobalto necessario alle batterie delle auto elettriche, come riportato anche dall’Unicef in un’indagine del 2014.

Marchi potenzialmente coinvolti

Quanto raccolto da Amnesty International è stato diffuso in occasione dell’apertura del Salone di Parigi, e chiama in causa alcuni tra i più noti costruttori automobilistici del panorama mondiale. La Huayou Cobalt, azienda con sede in Cina, si occupa di fornire di cobalto due colossi dell’elettronica come Samsung SDI e LG Chem, le quali a loro volta realizzano batterie per Tesla, FCA, Renault-Nissan, General Motors e BMW.

GM e Tesla non hanno ancora fornito prove accurate su come riescano a identificare batterie risultanti dal lavoro minorile, mentre le altre parti chiamate in causa si sono difese energicamente, rispondendo in maniera dettagliata circa i loro rapporti con Huayou Cobalt.

Quello che è certo, al momento, è che la mobilità “ad impatto zero” è ben lontana dall’essere raggiunta.

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