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The Legend of Zelda, storia di una saga: tutto iniziò così – Tom’s Hardware

Mag 1, 2017

Per definizione una leggenda è qualcosa che appartiene al mito, situata in un’epoca lontana e che getta le proprie radici nella cultura popolare. C’è però una leggenda che si è fatta realtà e continua ad essere scritta ancora nella nostra epoca: stiamo parlando di The Legend of Zelda, una delle più importanti e celebrate saghe della storia dei videogiochi nata dalla reintrepretazione della cultura medioevale europea nel ruggente Giappone degli anni ’80.

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La serie costituisce una delle colonne storiche di Nintendo, colosso giapponese che proprio in quest’epoca si guadagna un ruolo di primo piano grazie a tre videogiochi di importanza capitale: il primo è sicuramente Super Mario Bros., che fa la sua comparsa sugli scaffali del Sol Levante nel 1985. L’anno successivo è la volta di The Legend of Zelda, il capostipite di cui parleremo in questo articolo, e Metroid.

Ciò che accomuna questi tre fulminanti esordi è prima di tutto la piattaforma su cui compaiono, lo stesso NES (in Giappone Famicom) capace di rivitalizzare l’industria dei videogiochi dopo il noto crack del 1983. Ma due titoli in particolare, Mario e Zelda, hanno qualcosa in più da spartire: la mente che li ha creati, quel Shigeru Miyamoto riconosciuto all’unanimità come uno dei più influenti game designer di sempre. Nella creazione di The Legend of Zelda Miyamoto prende alcune scelte ben precise, dettate dalla volontà d’imboccare una strada differente da quella di Super Mario. Se quest’ultimo impone al giocatore un rigido susseguirsi dei livelli, con uno scorrimento prettamente orizzontale, in Zelda ci si ritrova fin dalle prime battute ad avere una libertà di movimento pressoché totale, con una visuale a volo d’uccello e qualche eccezione in orizzontale.

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Lo sviluppo di questi due titoli avviene di pari passo (Zelda era stato addirittura pensato come titolo di lancio per il NES), e Takashi Tezuka, la mente che insieme a Miyamoto ha creato il mondo di Hyrule, si occupa della storia tessendo un intreccio basilare quanto vincente: il potente principe delle tenebre Ganon invade con il suo esercito la terra guidata dalla principessa Zelda nel tentativo di ottenere la Triforza, sacro artefatto che racchiude in sé Potere, Saggezza e Coraggio (ispirato nel suo aspetto al mon, emblema del clan Hōjō attivo nel Giappone medioevale).

Dopo essere riuscito a rubare la Triforza del Potere, che da questo momento in avanti sarà sempre associata a Ganon nel corso della saga, il suo prossimo obbiettivo è il frammento della Saggezza: per intralciarlo la principessa Zelda decide di spezzarla in otto frammenti e nasconderli in altrettanti labirinti. L’ultimo gesto della futura regnante prima di essere rapita dallo stesso Ganon.

È in questo momento che entra in scena l’eroe in tunica verde, Link, giovane ragazzo senza passato sulle cui spalle viene posto il compito gravoso di salvare dalle tenebre il regno di Hyrule. Ed è nello stesso istante che comincia la nostra avventura, in uno dei primi autentici open world della storia dei videogiochi: sebbene gli ultimi dungeon presentino un livello di difficoltà più elevato degli altri, il giocatore può affrontarli in qualsiasi ordine preferisce, nella più totale libertà. Il cosiddetto overworld, l’insieme di schermate che poste l’una a fianco all’altra creano la mappa a 8 bit di Hyrule, è esplorabile senza grosse limitazioni fin dalle primissime battute, con la possibilità, tra le tante, di arrivare ad affrontare il boss finale senza aver nemmeno ottenuto la prima spada (la stessa che vi sarà consegnata dopo la storica citazione “It’s dangerous to go alone, take this!”).

Questa libertà notevole (rivoluzionaria nel 1986) confonde il pubblico giapponese, già allora con una preferenza per giochi posti su binari ben precisi, e Miyamoto suggerisce ai giocatori di interagire tra loro per carpire ogni segreto: un invito alla cooperazione che quindici anni dopo avrebbe ispirato la nascita di Animal Crossing, altro celebre franchise Nintendo. Le cose vanno meglio negli Stati Uniti e in Europa, dove The Legend of Zelda riceve da subito enormi apprezzamenti, complici anche alcuni spot memorabili.

Il successo occidentale di The Legend of Zelda è così travolgente da portare alla nascita di fan club e riviste, i cui lettori e abbonati crescono a tal punto da convincere Minoru Arakawa, all’epoca direttore di Nintendo of America, a lanciare nel 1988 una rivista interamente dedicata ai prodotti della casa giapponese. Stiamo parlando di Nintendo Power, che per i successivi ventiquattro anni sarebbe stata una delle più lette e influenti pubblicazioni a tema videogames nel mondo.

Non solo riviste però. Gli appassionati di Zelda alla fine degli anni ’80 possono riempire le proprie case di giocattoli, orologi, vestiti, lattine e perfino scatole di cereali a tema: qualcosa che su scala molto più grande avrebbe fatto Pokémon dieci anni dopo, ma che Nintendo riesce già a realizzare nello stesso decennio in cui molti ritenevano i videogiochi un media morto e sepolto, come le cartucce di E.T.-L’extraterrestre nel deserto del New Mexico.

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Con oltre 6.5 milioni di copie vendute The Legend of Zelda è ancora oggi uno dei titoli più venduti della saga, superato solo da Twilight Princess, ed è passato alla storia come il primo titolo per NES a superare il milione di copie.

Un’importanza che va ben al di là dei semplici numeri: con Zelda, Nintendo offrì per la prima volta al suo pubblico un’avventura dal respiro epico e al contempo cucita su misura del giocatore, grazie a una storia intrigante ma che in nessun momento soffoca il gameplay, grazie a una direzione artistica ben precisa portata avanti fin dal primo giorno di produzione. Il fatto che il protagonista della serie si chiami Link, ossia collegamento, non è nemmeno un caso: fu proprio Miyamoto a scegliere questo nome, per sottolineare l’importanza dell’immedesimazione di chi gioca.

Nel corso dei decenni, ben tre ormai, la saga si è evoluta prendendo molteplici direzioni nella narrativa e nel gameplay: che Ocarina of Time, nell’anno di grazia 1998, abbia riscritto le regole non solo del giocare in 3D ma dell’intera storia videoludica è cosa nota. È indubbio però che molta di questa antica libertà sia andata persa, con storie progressivamente sempre più elaborate anche alla luce di un’intricata timeline: con Breath of the Wild si è presa ispirazione proprio dalla libertà quasi assoluta del capostipite, e a giudicare dall’opinione di pubblico e critica pare essere stata la scelta giusta.

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Questo articolo è il primo di una rubrica interamente dedicata alla saga di The Legend of Zelda, in cui in ogni puntata discuteremo di un episodio. Il prossimo appuntamento è con Zelda II: The Adventure of Link, seguito diretto della prima storica avventura.

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