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Manovra, battaglia da 2 miliardi per le Partite Iva: stop alla flat tax sopra 65 mila euro, tornano i minimi

Ott 18, 2019

MILANO – Qualcuno su Twitter ironizza: più che “Partite Iva” sarebbe meglio dire “Partitevene” o “Partite Via” (il credito va a @oliodigiulio). Le novità che sono emerse dal Draft budgetary plan, il documento che sintetizza a Bruxelles gli interventi di una Manovra ancora sconosciuta dei dettagli, sconvolgono il mondo degli autonomi. Non tanto perché abrogano l’estensione della flat tax al 20% per coloro che hanno ricavi tra 65 mila e 100 mila euro, che la Lega aveva strappato con l’ultima finanziaria e ora non entrerà in vigore. Quanto piuttosto per un ritorno al passato inatteso anche per gli altri “forfettari”. Un ritorno che ha già generato fior fiore di polemiche.

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Le nuove misure allo studio: valgono fino a 2 miliardi

Vediamo quali sono le novità. Per ora sono solo accennate, come detto, nel Dpb. Nel documento gli interventi stanno sotto il cappello del “riequilibrare il regime di tassazione”. Due le misure proposte: “Per limitare abusi, viene abrogata “flat tax” per le persone fisiche esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo con redditi compresi tra 65.000 euro e 100.000 euro”. E poi: “Vengono rivisti i parametri del “regime dei minimi” con limiti di spese personale 20.000 euro, limite beni strumentali 20.000 euro, regime analitico determinazione reddito, regime premiale fatturazione elettronica, esclusione se reddito >30.000 euro”. Interventi cui viene attribuito un risparmio di circa 250 milioni il primo anno (2020), quasi 2 miliardi il secondo e 1,4 miliardi nel 2022.

Rep

Il primo periodo delle novità proposte dal Mef riguarda la seconda gamba della flat tax salviniana. Già scattata quella al 15% per le Partite Iva sotto i 65 mila euro, sarebbe dovuta partire con il 2020 l’imposta al 20% per quelli tra 65 e 100 mila euro. Non sarà così.

Il secondo periodo è quello più controverso, perché va a toccare meccanismi che sembravano acquisiti per il regime dei forfettari con flat tax al 15% e ricavi sotto 65 mila euro. Tanto che molti osservatori parlano di un ritorno di fatto ai vecchi “minimi”. Innanzitutto l’imponibile non sarà più determinato a forfait (cioè sottraendo ai ricavi registrati una quota fissa per ogni tipologia di attività professionale e i contributi) ma tenendo conto di tutte le spese sostenute e via dicendo. A questo aggravio, soprattutto procedurale e burocratico, si aggiungono altri paletti.

Per la fatturazione elettronica si lascia intendere che ci saranno benefici in caso di accesso al regime. Ma preoccupano maggiormente le “cause ostative”, quegli indicatori superati i quali non si può rientrare nel regime dei minimi. Eccole: coloro che spendono più di 20 mila euro in beni strumentali (nell’anno precedente all’ingresso al regime) sono fuori, così come coloro che spendono più di 20 mila euro per dipendenti e collaboratori (erano 5 mila euro nel regime originario) o ancora quelli che hanno un lavoro dipendente che supera i 30 mila euro.

Questa ultima disposizione riguardava soprattutto lavoratori e pensionati che svolgevano una separata attività professionale a Partita Iva, che poteva rientrare nella tassazione agevolata. Proprio questo era uno dei possibili effetti distorsivi che Marco Leonardi e Andrea Dili registravano su lavoce.info riflettendo sull’andamento delle aperture di Partite Iva, particolarmente sostenute tra le persone fisiche ultracinquantenni e ultrasessantacinquenni dopo il cambio di normativa. Un modo per pensionati-consulenti di sfuggire all’aliquota marginale, insomma. Non l’unica distorsione messa in evidenza dagli esperti: dando il vantaggio fiscale alle partite Iva singole a discapito di quelle in forma aggregata, il rischio era di frammentare i servizi professionali diminuendone la produttività.

La critica di opposizioni e professionisti. Anche il M5s vuole la retromarcia

Che un intervento fosse possibile, dunque, è testimoniato dal dibattito già aperto tra gli esperti. Ma le novità del Dbp l’hanno ri-infiammato. Ha difeso questa impostazione la vice ministra dell’Economia, Laura Castelli, in un forum di Radiocor sulla Manovra. Nel quale ha sostenuto che l’introduzione del regime analitico per chi ha scelto la flat tax al 15% nel 2019 “non produce maggior gettito secondo la relazione tecnica, non è scolpito nella pietra. E’ una proposta del ministro Gualtieri, di cui si discuterà in maggioranza”. Ben più battagliero il suo capo politico, Luigi Di Maio, che ha detto ai suoi di volere “vederci chiaro” su molti temi, tra i quali proprio queste novità. Stefano Buffagni dal Mise ha parlato di un atteggiamento “non serio” di chi cambia le norme approvate solo nell’ultima Finanziaria. Non mancano riflessioni anche all’interno del Pd.

Sulle #partiteIVA in attesa del testo: 1) Molto bene che si mantenga regime a 65k 2) Bene anche limite di cumulo con reddito lavoro dipendente o pensione 3) Molto male se si abolisce regime forfettario per tornare all’analitico. Certezza e semplicità, no sense tornare indietro.

— Tommaso Nannicini (@TNannicini) October 17, 2019

Se Gelmini (Fi) ha parlato di “insopportabile attacco al ceto medio”, Bitonci (Lega) di “follia” e Meloni (Fdi) di “mazzata ai professionisti”, anche gli addetti ai lavori hanno alzato più di un sopracciglio. I commercialisti sono usciti allo scoperto col presidente del Consiglio nazionale, Massimo Miani, che già ieri ha parlato di una Manovra che si interessa “del mondo del lavoro autonomo solo in termini di sottrazione di risorse a favore di altri comparti”. Secondo gli esperti contabili, “l’abolizione del regime di flat tax al 20% per le partite Iva individuali con fatturati tra 65.001 e 100.000 euro nell’istante in cui non viene sostituita da altre misure a favore delle partite Iva più congeniali al nuovo Governo, denota una scelta di fondo che mette nel mirino non tanto i regimi di flat tax, quanto i lavoratori autonomi. Crediamo che su questo il Governo debba riflettere e correggere il tiro”.

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