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Macchine Mortali, la nostra recensione

Dic 13, 2018

Se la cifra del postmodernismo è la citazione, Macchine Mortali può essere considerato un perfetto esempio di film postmoderno. Dentro infatti lo spettatore più attento ci troverà rimandi a molto altro cinema di genere, ma si tratta solo di omaggi a pezzi di cultura pop amati e conosciuti da cineasti e appassionati, che non suggeriscono letture più profonde e articolate. Macchine Mortali dunque è ciò che mostra: buon intrattenimento ricco d’azione adrenalinica.

Come la città trazionista del film, anche la sceneggiatura è una macchina mortale che si nutre di frammenti che inghiotte e ingloba, utilizzandoli come carburante per procedere spedita nel proprio percorso narrativo. Il meccanismo in sé non è perfetto ma è ben oliato e agile, scorre velocemente e sa intrattenere, ma lo spettatore non può e non deve pretendere altro.


Così il mondo post-apocalittico alla Mad Max diventa qui solo una scenografia, uno sfondo su cui si svolge la storia, mentre l’organizzazione piramidale della società, memore del Metropolis di Fritz Lang, serve unicamente a fissare le coordinate del mondo distopico rappresentato.

La sceneggiatura di Peter Jackson assieme alle sue storiche collaboratrici Fran Walsh e Philippa Boyens finisce così per essere proprio l’elemento più debole del film, banale nelle premesse e prevedibile negli sviluppi, nonché affetta da diverse incongruenze e del tutto priva di ambizioni. Stupisce allora che in una pellicola meccanica quanto le macchine che la popolano, le uniche emozioni vere arrivino nelle sequenze che hanno per protagonista un essere senza cuore, metà robot e metà cadavere, chiamato Shrike.


Se la scrittura delude e gli attori, compreso Hugo Weaving, non entusiasmano, brilla invece il comparto tecnico-artistico. Lo scenografo Dan Hennah (Il Signore Degli Anelli, Lo Hobbit, Thor – Ragnarok) ad esempio ricostruisce una Londra imponente e incredibilmente ricca di dettagli realistici. Allo stesso modo notevole è il lavoro svolto dai costumisti Bob Buck (Lo Hobbit) e Kate Hawley (Crimson Peak, Pacific Rim, Edge Of Tomorrow, Suicide Squad), che riescono a dar vita e rendere credibile un mondo incredibilmente variegato, popolato da persone distanti e diverse per provenienza, estrazione sociale e ruolo.

Da segnalare infine anche l’avvolgente regia di Christian Rivers, cresciuto all’ombra di Peter Jackson prima come story board artist, poi come supervisore degli effetti speciali e infine come aiuto regista, in grado di infondere ai movimenti di ampio respiro del Maestro un ritmo più contemporaneo e meno meditativo, che ben si adatta alla materia action del film.


Perfetto per una serata di svago all’insegna dell’avventura, soprattutto se si è amanti del genere, ha il pregio di non essere uno young adult come molti temevano visti i due giovani protagonisti, ma se cercate un film di spessore, che utilizzi un genere cinematografico per riflettere sul presente e sul futuro, dovrete guardare altrove. Macchine Mortali è un buon prodotto d’intrattenimento, superficiale ma ben confezionato, che ha anche il vantaggio di uscire nel momento più propizio della stagione, in cui non ci sono altri blockbuster in campo.

Vi accingete a vedere il film senza aver mai letto il libro originale? È il caso di rimediare.

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