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La grande finanza contro le oil&gas company: “Non fate abbastanza per l’ambiente”

Mag 19, 2018

MILANO – Per anni hanno investito in società che estraggono e producono petrolio e gas. Ricavandone utili in gran quantità. Senza troppo occuparsi delle ricadute sull’ambiente. Ma ora, la grande finanza internazionale sembra preda di qualche complesso di colpa. O teme che la fuga dei risparmiatori, mentre ci si avvia verso un futuro energetico in cui saranno dominante le energie rinnovabili.

Come che sia, è degna di nota l’iniziativa presa da un gruppo di 60 grandi fondi di investimento internazionale che ha scritto una lettera pubblicata dal Financial Times in cui si chiede alle grandi compagnie attive nel petrolio e nel gas di “intensificare gli sforzi sul climate change”. I fondi (da Axa a Fidelity, da Aberdeen Standard) che hanno sottoscritto il documento rappresentano patrimoni per 10mila miliardi di dollari, il che li mette in una posizione in cui è difficile che non vengano ascoltati. Nella lettera chiedono all’industria oil&gas di essere più trasparente e di assumersi maggior responsabilità per tutte le loro emissioni”.

“Attacco” alla Shell. Pur senza citarla espressamente, il teso fa riferimento al voto che ci sarà martedì prossimo all’assemblea di Shell, in cui alcuni fondi attivisti vogliono far votare un documento in cui si chiede al colosso anglo-olandese di allineare le proprie politiche industriali gli accordi di Parigi sulla limitazione delle emissioni di CO2.

Senza fare il nome di Shell, i 60 grandi investitori sollecitano le compagnie attive negli idrocarburi di essere più “coinvolte in impegni concreti per ridurre sostanzialmente le emissioni di CO2, valutando l’impatto delle emissioni delle loro attività e spiegando in modo trasparente come gli investimenti in risorse e tecnologie che vengono fatti oggi siano compatibili con il percorso verso gli obiettivi di Parigi”.

Per quale motivo è stata presa questa iniziativa? Il mondo della finanza già da tempo si sta confrontando con le conseguenze del climate change e della transizione energetica sugli investimenti: molti fondi pensione e fondi etici hanno nel proprio statuto il divieto di investire in attività che provocano inquinamento. Inoltre, spingono perché società storiche come le grandi compagnie petrolifere non si trovino impreparate di fonte a un modo dell’energia in rapido cambiamento, non riuscendo a trovare alternative al declino industriale del loro settore.

Statoil cambia nome. Del resto, che il petrolio non vada più di moda, anzi sia controproducente anche il soltanto nominarlo lo dimostra la decisone appena presa dal gruppo Statoil. Si tratta di una delle più importanti compagnie al mondo per la ricerca ed estrazione di idrocarburi, controllata al 76 per cento dal governo norvegese. In pratica, la compagnia che ha perforato in lungo e in largo il mare del Nord, i cui guadagni hanno fatto del fondo sovrano di proprietà del governo di Oslo il più ricco del globo. Da ora in poi si chiamerà Equinor. L’azienda non ha fatto mistero che avere il nome petrolio (oil, in inglese) sia una penalizzazione: “Non ce l’ha nessuno dei nostri concorrenti, avercelo è uno svantaggio”.

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