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Il governo Trump uccide la Neutralità della Rete

Dic 15, 2017

La neutralità della rete è morta, almeno negli Stati Uniti. Con il voto di ieri, infatti, la commissione direttiva della FCC (Federal Communications Commission) ha votato con una maggioranza di 3 a 2 per abolire le norme imposte solo due anni fa sotto il governo Obama.

Da oggi dunque gli Internet Service Provider (ISP) avranno piena libertà di modulare la propria offerta proponendo pacchetti diversi che discriminano il tipo di dati trasferiti. Immediatamente gli attivisti del paese hanno messo in piedi proteste che, probabilmente, proseguiranno per molte settimane.

Per fare un esempio, l’operatore potrebbe offrire un contratto base che include navigazione e posta elettronica, diciamo a 15 dollari al mese. E poi chiedere ai clienti di pagare qualcosa in più per i servizi aggiuntivi. 5 dollari per lo streaming video (Youtube, Netflix, Prime Video, et.), altri cinque per la musica in streaming, 5 per il gaming online e così via. La norma precedente, simile a quella vigente in Europa, proibiva invece ai provider di agire in tal senso – con alcune eccezioni. L’unico vincolo rimasto in piedi, se così si può chiamare, è che gli ISP saranno tenuti a dichiarare esplicitamente eventuali limiti inclusi nel contratto. Un obbligo di trasparenza verso i clienti, dunque, ben poco utile se dovessero essere tutti ad applicare tale politica.

Una mossa che è “un evidente esempio di come siano cambiate le politiche di Washington sotto il Presidente Trump e un sostanzioso passo indietro per i consumatori, aziende tecnologiche e democratici che hanno agito contro questa decisione”, ha scritto Brian Fung sul Washington Post (quotidiano di orientamento dem, proprietà di Jeff Bezos).

“Ciò a cui stiamo assistendo è un drammatico cambio di rotta non solo rispetto all’amministrazione Obama, ma anche rispetto alla precedente amministrazione repubblicana“, ha notato l’avvocato Jeffrey Blumenfeld. Fu sotto l’amministrazione Bush, infatti, che furono stabilite le norme di base sfociate poi in quelle del 2015. Da un certo punto di vista, dunque, possiamo parlare di un passo indietro di almeno dieci anni.

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“Internet non aveva problemi nel 2015. Non vivevamo in una distopia digitale“, ha commentato il presidente della Commissione Ajit Pai (Partito Democratico). “Il problema principale dei consumatori riguardo a Internet non sono i provider che bloccano l’accesso ai contenuti. È che non hanno accesso in assoluto”, ha aggiunto riferendosi alle aree prive di connettività o con linee dalle basse prestazioni. Pai ha anche affermato che secondo lui e i suoi compagni politici, Internet si può regolare meglio se lasciata in piena libertà.

“If you believe in democracy, you benefit from internet openness.” –FCC commissioner Jessica Rosenworcel

“Potrebbe anche essere vero in gran parte”, risponde Jacob Kastrenakes da The Verge, “ma è falso affermare che tutte le minacce fossero immaginarie: persino con il regolamento in essere, c’erano società che bloccavano l’accesso ad applicazioni dei concorrenti, e altre con politiche che avvantaggiavano chiaramente alcuni servizi. Senza regole, saranno liberi di farlo con una portata ancora maggiore”.

Il problema diventa ancora più complesso se si considera che spesso e volentieri un ISP è anche un fornitore di contenuti. Lo vediamo anche in Italia: TIM ha TIM Vision, Fastweb ha un’alleanza con Sky, Vodafone ha il suo servizio di film e serie TV. Ma nel nostro Paese, almeno per ora, devono rispettare la neutralità. Possono però già offrire alcuni vantaggi, per esempio non facendo pagare il traffico dati per certi servizi. È anche questo un modo di colpire la concorrenza: TIM potrebbe offrire “dati gratis” su TIM Vision ma scalarli con YouTube o Netflix, per esempio.

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“Questa non è una buona cosa“, ha commentato Jessica Rosenworce (uno dei due rappresentanti Democratici in commissione). “Non è buona per i consumatori. Non lo è per le aziende. Non lo è per nessuno che si colleghi e crei qualcosa online”.

Da sottolineare che durante i mesi passati milioni di cittadini americani hanno manifestato la propria opinione e chiesto alla Commissione di mantenere le regole precedenti. Richieste che sono state del tutto ignorate, che un’operazione che appare contraria alla tradizione democratica degli Stati Uniti. Come giustificazione parziale, la Commissione ha affermato che almeno 7,5 milioni di commenti erano spam – su un totale di 22 milioni.

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Ajit Pai

L’operazione risulta così stridente con alcuni principi che John Nichols ha titolato il suo articolo su The Nation con sbudellare la Net Neutrality è il colpo più brutale inferto dall’amministrazione Trump alla democrazia, finora.

“Non credo che la democrazia possa sopravvivere su basi così sottili. Aggiungeteci il fatto che noi, la gente, pagheremo prezzi sempre più esorbitanti per questo futuro di costrizioni e capirete perché così tanti milioni di persone hanno contattato la FCC e il Congresso per dire loro di mantenere le norme attuali sulla Net Neutrality”.

Michael Copps, ex Commissario FCC (The Nation)

“Quei commenti probabilmente peseranno nella denuncia che farà seguito a questo voto. I difensori della net neutrality quasi certamente denunceranno la commissione nel tentativo di invalidare questo procedimento e ripristinare le regole del 2015″, scrive ancora Kastrenakes. “Alla commissione è permesso di cambiare idea, ma non può cambiare le regole per ragioni arbitrarie o capricciose. In aula la FCC dovrà dimostrare che lo scenario è cambiato a sufficienza dal 2015, e che ci sono prove sufficienti”. Anche Klint Finley, su Wired, sottolinea come la questione sia ancora aperta. Si andrà in tribunale, ma l’avvocato Marc Martin ricorda che starà ai difensori della Net Nuetrality dimostrare che la commissione ha agito “su basi politiche”, e probabilmente non sarà facile.

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Uno degli argomenti portati a supporto della decisione è che le regole “ostacolavano gli investimenti” da parte degli ISP, ma proprio su Wired è comparsa un’inchiesta che dimostra come siamo invece aumentati negli ultimi mesi. Resta, naturalmente, l’ipotesi che senza regole sarebbero aumentati di più.

Questa novità porterà alla “morte di Internet” come profetizzano alcuni? Probabilmente no, ma è lecito aspettarsi dei cambiamenti profondi. Per ora i provider assicurano che non ci saranno discriminazioni sul traffico e sui servizi, e di certo si può star certi che nulla cambierà dall’oggi al domani. Ma da qui al 2020, quando ci saranno le prossime presidenziali, potranno cambiare molte cose.

“Internet continuerà a funzionare domani come ha sempre fatto”, si legge in una dichiarazione di AT&T, il più grande operatore USA. Sul fronte opposto troviamo dichiarazioni come quella del deputato Ro Khanna, secondo cui “gli ISP vogliono trasformare internet nel cavo (come la TV, NdA), vogliono che la genti paghi per ogni applicazione”.

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