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Il dollaro si stabilizza dopo la sconfitta dei Repubblicani in Alabama

Dic 13, 2017

MILANO – Ore 9:45. La sconfitta elettorale dei Repubblicani in Alabama suona come un monito al presidente Usa, Donald Trump, e i mercati ne prendono atto andando a vedere il dollaro. Se fino a ieri mattina il biglietto verde aveva proseguito il suo apprezzamento sui mercati valutari, oggi il Dollar Index va sotto pressione. Roy Moore non è riuscito ad imporsi in una storica roccaforte del partito e con la vittoria di Doug Jones la maggioranza dei repubblicani al Senato si assottiglia a 51 seggi. Si complica dunque la via all’attuazione delle riforme di Trump, in primis quella fiscale, e l’euro sale a 1,1762 dollari. Non si tratta comunque di variazioni shock.

I listini europei trattano incerti alla vigilia della riunione della Bce che potrebbe dettagliare meglio il tapering e nel giorno del probabile rialzo dei tassi Fed, mentre lo spread tra Btp e Bund è in leggero rialzo in area 138 punti base, con il rendimento del titolo italiano intorno all’1,7%. Milano segna un calo dello 0,2%, Londra riesce a risalire dello 0,1%, Parigi e Francoforte sono praticamente invariate.

In mattinata l’Asia ha chiuso in ordine sparso. Positive le Borse cinesi: a Shanghai l’indice Composite termina gli scambi in progresso dello 0,68% a 3.303,04 punti, mentre a Shenzhen il Component avanza dello 0,91% a 11.143,89 punti. Ottima giornata anche per Hong Kong (+1,5%), negativa invece Tokyo nonostante la giornata buona di Toshiba. Il colosso in crisi ha trovato l’accordo con il partner Western Digital, che non si opporrà più alla cruciale vendita della controllata Toshiba Memory, necessaria alla sopravvivenza del gruppo con un valore intorno a 15 miliardi di euro. L’indice Nikkei ha chiuso in calo dello 0,47% a 22.758,07 punti, il Topix ha perso lo 0,23% a 1810,84.

Ieri a Wall Street gli indici hanno registrato nuovi picchi: l’indice delle 30 blue chip ha messo a segno il 67esimo record del 2017; quello benchmark, il 60esimo. Il Dow ha guadagnato lo 0,49% con i titoli bancari e telecom in evidenza in vista del rialzo dei tassi Fed; lo S&P500 ha aggiunto lo 0,15% e il Nasdaq ha limato invece lo 0,19%. Nick Peters, gestore di Fidelity International, sottolinea che sui mercati si sconta “al 98% la possibilità di un rialzo dei tassi” dalla Banca centrale Usa. A questo punto, “la cosa più rilevante è capire quanti aumenti si possano attendere per il prossimo anno”. Sembra riproporsi la situazione dello scorso anno, di questi tempi. “La probabilità di tre aumenti dei tassi entro la fine del 2018 si colloca appena al di sotto del 20%, mentre la possibilità di uno o due aumenti si attesta al 60% circa”, dice l’esperto. Lo scetticismo su un passo spedito da parte del futuro presidente Jerome Powell si lega, per Peters, “alla debolezza dell’inflazione core”.

Sul fronte delle materie prime, il barile di petrolio Brent con consegna a febbraio ha aperto oggi al rialzo sul mercato dei futures di Londra a 63,87 dollari, in rialzo dello 0,83%. L’oro resta debole a 1.242 dollari l’oncia.

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