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I geloni anomali sintomo di coronavirus: studio pubblicato dall’Università di Torino avvalora i sospetti

Giu 3, 2020

Il primo era stato una stranezza, il secondo un caso inspiegabile, ma quando in due mesi – marzo e aprile – sono arrivate almeno duecento segnalazioni di geloni agli arti soprattutto di bambini e giovani adulti, i dermatologi dell’ospedale San Lazzaro di Torino hanno cominciato a farsi delle domande. Perché si formavano dei geloni se non faceva freddo e se nessuno poteva andare in alta montagna in pieno lockdown? Sospetti che arrivavano da diversi specialisti in tutta Italia e che sono stati condensati in una lettera all’Istituto superiore di Sanità.

Il primo pensiero dei medici torinesi è stato proprio di mettere in relazione quello strano fenomeno con la diffusione del coronavirus: un’intuizione che ha avuto i primi riscontri, tanto che uno studio coordinato da Simone Ribero, docente di dermatologia clinica all’università di Torino, è stato nei giorni scorsi pubblicato sul Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology. Lo studio si intitola ““Chilblain acral lesions in the COVID-19 era. Are they marker of infection in asymptomatic patients?”


“I pazienti non sono stati in quel momento sottoposti al tampone per capire se avessero contratto il Covid poiché le lesioni cutanee non rientravano tra i sintomi del coronavirus – spiega Ribero – Tuttavia dalle biopsie effettuate su alcuni campioni sono emersi indicatori che riconducono al coronavirus. Se ora tutti coloro che hanno avuto geloni inspiegabili in quel periodo si sottoponessero al test sierologico potremmo avere una risposta determinante per ricondurre le lesioni della pelle al Covid”.

La correlazione tra i due fenomeni è emersa in diverse diagnosi di medici in Italia e all’estero, ma sono pochi gli studi che hanno già affrontato scientificamente questi aspetti. “In molti casi le nostre valutazioni sono state fatte sulla base di fotografie, soprattutto per i bambini – continua i ricercatore – Erano i pediatri che ce le inviavano e noi per ragioni di sicurezza evitavamo di far portare il bambino in ospedale, poiché la diagnosi del gelone anche tramite una foto era certa, mentre comunque nessuno avrebbe fatto loro il tampone”.

Tuttavia proprio il fatto che i geloni non siano stati riconosciuti subito anche dagli enti istituzionali come un possibile sintomo del coronavirus può aver avuto conseguenze nella gestione della pandemia. “Aver lasciato bambini e adulti nelle loro case senza trattarli come potenziali Covid – è il rammarico del ricercatore – può aver contribuito alla diffusione del virus e aver messo a rischio la vita di familiari anziani o con problemi di salute”.

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