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Giuseppe Conte, i pm di Bergamo a Palazzo Chigi per sentirlo sull’inchiesta sulle zone rosse non… – Il Fatto Quotidiano

Giu 12, 2020

Mancano quindici minuti alle dieci quando Maria Cristina Rota arriva a Palazzo Chigi. La capa della procura di Bergamo è etrata nella sede del governo per raccogliere la deposizione Giuseppe Conte. Con lei tre sostituti: Paolo Mandurino, Silvia Marchina e Fabrizio Gaverini. Per gli inquirenti lombardi, infatti, il presidente del consiglio è persona informata sui fatti – e quindi semplice testimone – nell’inchiesta sulla mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. Poco prima delle 13 sono arrivati in macchina a palazzo Chigi anche i ministri dell’interno Luciana Lamorgese e della Salute Roberto Speranza: subito dopo il premier, anche loro saranno ascoltati come persone informate sui fatti.

“Rifarei tutto perché ho agito in scienza e coscienza” – Ieri alcuni cronisti hanno chiesto all’inquilino di Palazzo Chigi se per caso temesse di uscire da indagato dall’incontro con i pm. “Non lo temo affatto – ha risposto Conte – Sono assolutamente disponibile per informare doverosamente il pm su tutte le circostanze di mia conoscenza”. Ma se tornasse indietro il premier ordinerebbe la zona rossa per quei comuni diventati simbolo dell’epidemia? “No, perché ho agito in scienza e coscienza”. Le audizioni di Conte, Lamorgese e Speranza saranno tutte orientate a ricostruire i giorni d’indecisione all’inizio di marzo: c’erano i morti continuavamo ad aumentare, c’era l’ospedale di Bergamo già sotto pressione e poi quelle le bare portate via dall’esercito. Eppure l’ordinanza di isolare l’area tra Nembro e Alzano nella Bergamasca, come era avvenuto per i comuni del Lodigiano, non è mai arrivata, nonostante i militari dell’esercito fossero pronti a bloccare le vie di accesso ai due centri. La mancata istituzione della zona rossa è stato oggetto di polemiche, ma è diventata anche un fascicolo di inchiesta. Avrebbe potuta ordinarla il governo, ma pure il governatore Attilio Fontana, emulando il suo collega Stefano Bonaccini. “A Medicina, la zona rossa l’abbiamo fatta di notte, è stata una decisione politica difficile, e poi abbiamo informato il governo che ci ha consentito di poterla fare”, ha raccontato ieri il governatore dell’Emilia-Romagna.

L’inchiesta – In Lombardia non andò così. E dunque chi decise di non chiudere Nembro e Alzano, 24mila abitanti, 400 aziende, 3.700 dipendenti e 680 milioni di euro all’anno di fatturato? E lo fece per negligenza, per scelta politica o perché le pressioni della lobby imprenditoriale erano troppo forti? Dopo aver ricostruito quel che accadde nei giorni tra il 3 e il 7 marzo, servendosi anche di tutta la documentazione e i carteggi raccolti tra l’istituto Superiore di Sanità, il governo centrale e quello regionale, i pm dovrebbero stabilire se si sia trattato di atti da incasellare in scelte politiche o se ci siano o meno responsabilità penali, quale sia l’ipotesi di reato, e in capo a chi.

La ricostruzione dal 27 febbraio al 3 marzo – A questo proposito, le ricostruzioni delle dichiarazioni pubbliche rendono l’idea di cosa è successo nelle settimane incriminate. La serie inizia il 27 febbraio, quando l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera dice che si stava “guardando con attenzione alla zona di Alzano Lombardo” anche se “al momento”, disse, “non c’è nessuna ipotesi di introdurre nuove zone rosse”. L’ipotesi si fa concreta il 3 marzo. “Abbiamo chiesto all’Istituto Superiore di Sanità di fare valutazioni e suggerire a noi e al governo le migliori strategie”, disse l’assessore in conferenza stampa. E proprio il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico dice che sarebbe stata necessaria la chiusura della zona. Da qui la richiesta di approfondimenti da parte del premier Conte per sapere se sarebbe bastata o se andasse chiusa tutta la Lombardia.

Brusaferro e l’esercito: il 5 marzo – Due giorni dopo, il 5 marzo, Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore della Sanità – già interrogato dai pm di Bergamo – risponde che la zona rossa ad Alzano e Nembro va fatta. A testimoniare che si sta più che pensando di delimitare l’area ci sono le segnalazioni degli abitanti della zona sull’arrivo dell’esercito e delle forze dell’ordine. Il 5 marzo è Gallera ad annunciare che dopo la richiesta degli “esperti dell’istituto Superiore di Sanità” la Regione ha dato “l’assenso ma ora il governo deve fare le sue valutazioni“. Ed è sempre lui a sbottare il giorno dopo: “l’Iss aveva formulato una richiesta precisa al governo. Se questa risposta fosse arrivata tre giorni fa avrebbe evitato di lasciare nell’incertezza i cittadini”.

Niente zona rossa: 8 marzo –L’incertezza finisce l’8 marzoquando un decreto della Presidenza del Consiglio, che entra in vigore il 9, decide la chiusura di tutta la Lombardia e di 14 province. Non in modalità “zona rossa”, ma in una versione meno restrittiva, che fu ribattezzata “zona arancione. Da lì scoppia la polemica sulla mancata istituzione della zona rossa nella media Val Seriana. Il 2 aprile il governatore Attilio Fontana, in risposta alla lettera di alcuni sindaci, fra cui quello di Bergamo Giorgio Gori, sulla gestione dell’emergenza spiega che “una volta accertato che anche le zone di Alzano Lombardo e Nembro”, nel Bergamasco, “si configuravano come cluster, abbiamo chiesto invano al governo”. “Mi è stato chiesto se il governatore della Lombardia poteva assumere ordinanze più restrittive e abbiamo risposto che non abbiamo impedito di farlo – ha puntualizzato il 6 aprile il premier Giuseppe Conte -, lo hanno fatto altri governatori. l’istituzione di nuove Zone Rosse comprendenti quei Comuni”. Adesso la questione è sul tavolo dei pm di Bergamo che su questo hanno già ascoltato Fontana e Gallera. Oggi tocca a Conte.

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