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Dagli 80 euro agli incentivi: il Paese dei bonus. Ma non sempre hanno funzionato

Apr 30, 2017

ROMA – Cinquanta miliardi di bonus. Dagli 80 euro allo sconto sulle assunzioni. Dal bonus Stradivari a quello per insegnanti e diciottenni. Dagli 80 euro anche per i militari al bonus bebè. In tre anni di governo Renzi, e per trascinamento in quello Gentiloni, tanti soldi sono arrivati nelle tasche di 15 milioni di italiani. Con quale effetto? Non proprio esplosivo sull’economia. Il Pil, a lungo oscillante attorno allo zero virgola, ora sfiora l’1% e lì pare rimanere, quasi la metà della media Ue. I consumi, risvegliati dal lungo letargo della deflazione, non brillano. Il tasso di occupazione inchiodato al 57% è lo stesso del 2004, peggio di noi solo Grecia, Turchia e Macedonia. E i prezzi, da poco più vivaci, devono tutto al caro-energia. Certo, non esiste controprova di come sarebbe andata senza stimoli. Ma fanno impressione quei 50 miliardi spesi in bonus. Dodici volte la tassa sulla prima casa. Due volte la manovra dello scorso anno. Due volte e mezzo la clausola di salvaguardia di Iva e accise che incombe sui conti pubblici italiani. E colpisce anche la filosofia della loro distribuzione: tutto a tutti, quasi sempre senza limiti né di reddito né di territorio, fascia sociale o settore economico.

UN INSEGNANTE SU TRE – Ma agli italiani i bonus piacciono? Di sicuro non dispiacciono. Anche se non sempre è andata liscia. Prendiamo ad esempio i bonus cultura. I 500 euro dati a 762 mila docenti di ruolo (1,1 miliardi in due anni), pur tra le polemiche che hanno travolto la riforma della Buona Scuola, alla fine hanno funzionato. Libri, tablet, teatro, mostre, corsi di aggiornamento. Non così l’altro, il bonus merito (200 milioni all’anno), su cui pende una sentenza del Tar attesa in questi giorni e sollecitata da due sindacati. A dicembre solo un insegnante su tre (circa 248 mila) l’aveva preso. E solo per l’80% dell’importo, in via prudenziale (dai 200 ai 1.800 euro, deciso dai singoli comitati per la valutazione dei docenti, in tutto 23 mila euro a scuola). Perché il Tar potrebbe confermare che questo bonus spetta solo a chi è di ruolo. Oppure potrebbe dar ragione ai sindacati e dunque estenderlo pure ai supplenti precari.

DICIOTTENNI CON LO SPID – Anche il bonus ai diciottenni da 500 euro – e oltre mezzo miliardo di spesa totale nel biennio – fatica. I disagi iniziali per ottenere lo Spid, chiave digitale di identità, hanno indotto Palazzo Chigi a prorogarne i tempi di richiesta sino a giugno. Sin qui, a due mesi dal termine, solo 373 mila ragazzi su 580 mila si sono dotati di Spid. E di questi, 336 mila si sono poi iscritti a 18App, solo 11 mila in più tra marzo e aprile e appena il 58% di quanti hanno compiuto 18 anni nel 2016. Poco più della metà, quindi. E che per giunta non hanno speso granché: circa 50 milioni su 168. Motivo? Aspettano settembre per comprare i libri di scuola. Oppure faticano a trovare esercenti, negozi, musei, teatri, siti convenzionati, come molti lamentano sui social. Va poi sottolineato che i bonus cultura di quest’anno, sia per insegnanti sia per chi compie 18 anni nel 2017, devono ancora essere attivati, a fronte di risorse già stanziate. E copiose: 2,2 miliardi nel biennio 2016-2017 ai cinque bonus cultura, come risulta dalla ricognizione condotta per Repubblica dall’Ufficio studi della Uil. Oltre ai due bonus per i docenti (gli unici strutturali) e alla 18App, c’è anche il bonus Stradivari – mille euro a 15 mila studenti di musica, se acquistano uno strumento – e lo Student Act, una no tax area sull’iscrizione all’università di ragazzi con famiglie dall’Isee basso. Per capire com’è andata in questi ultimi due casi, occorre aspettare la dichiarazione dei redditi del prossimo anno.

UN LAVORO STABILE – Più semplice fare un bilancio del bonus occupazione, andato alle imprese in cambio di assunzioni stabili secondo il Jobs Act (dunque senza articolo 18). Nella doppia versione: decontribuzione totale per tre anni nel 2015 ed esonero parziale per due anni del 40% dei contributi nel 2016. A fronte di una spesa totale di 19,3 miliardi per entrambi gli sconti (spalmata fino al 2019), l’Istat ha registrato solo 325 mila occupati – e dunque posti – aggiuntivi, tolte le cessazioni. Ovviamente i contratti chiusi grazie allo sgravio sono stati molti di più, al lordo dei licenziamenti e tenuto conto che i lavoratori possono cambiare occupazione e dunque intestarsi più di un contratto nell’anno: circa 1,4 milioni nel 2015, secondo l’Inps, tra assunzioni a tempo indeterminato e stabilizzazioni, quasi un quarto di tutti i rapporti instaurati. Ma poi solo 616 mila nel 2016, neanche il 10% del totale, con lo sgravio ridotto e il rinato slancio per apprendistato e contratti a termine.

IN FAMIGLIA – Grande attenzione anche a bimbi e mamme. Il bonus bebè (80 euro al mese per 3 anni, il doppio per le famiglie povere) è andato molto bene. Se sulla carta era destinato a 330 mila bimbi nati o adottati tra 2015 e 2017 (per una spesa di 1,8 miliardi), l’Inps ha fin qui già accettato 409.519 domande (il 25% in più) e rigettate 35.708. Senza il requisito Isee da 25 mila euro (e 7 mila euro per il bonus doppio) – che il governo all’inizio non voleva, inserito poi dal Parlamento – la misura sarebbe esplosa. Per il 2017 poi il governo Renzi ne ha pensati altri due, anche dietro suggerimento degli alleati centristi: il premio alla nascita o bonus “mamma domani” da 800 euro una tantum solo quest’anno, anche per le adozioni, e il bonus nido (mille euro l’anno per tre anni per l’asilo o il sostegno domiciliare), entrambi senza limiti di reddito e patrimonio e 559 milioni di stanziamento. Tutte e tre le misure – bebè, nascita, nido – finiscono quest’anno. E dunque dovranno essere rifinanziate. Contando anche il bonus baby sitter del governo Letta (che ha dato qualche problema, poi risolto, perché era erogato in voucher), tutti e quattro i bonus famiglia scadono nel 2017 (ma per alcuni già assegnati, come detto, gli effetti sono triennali).

AIUTI AL REDDITO – E infine il re di tutti i bonus: quello da 80 euro mensili, strutturale dal 2014, inserito in busta paga come credito Irpef. Alla fine ne hanno beneficiato 11,7 milioni di lavoratori dipendenti privati e statali – esclusi gli incapienti che stanno sotto gli 8 mila euro di reddito annuo – per una spesa sin qui di 25 miliardi. La metà di tutti i bonus Renzi. Ma per via dei paletti di reddito – spetta per intero fino ai 24 mila euro lordi annui e in misura ridotta tra i 24 e i 26 mila euro – circa 1,8 milioni di italiani l’hanno restituito tutto o in parte perché non dovuto, magari a causa di altri redditi oltre quello da lavoro. Mentre però 1,5 milioni di contribuenti l’hanno incassato a sorpresa, per intero o una fetta, in sede di 730 perché le loro entrate sono salite sopra quota 8 mila o scese sotto 26 mila. Paletti reddituali scomparsi del tutto però nel caso dello stesso bonus da 80 euro, elargito alle forze dell’ordine nel 2016: stanziati 510 milioni all’anno per 510 mila militari, senza distinzioni.

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