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Coronavirus, un anziano colpito a gennaio: il “paziente uno” prima di Mattia

Mar 30, 2020

ROMA – Ben prima di Mattia e non a Codogno. Il paziente uno potrebbe essere un anziano ammalatosi di Covid a gennaio, ricoverato in una clinica privata di Piacenza e poi portato via da personale che indossava tute da biocontenimento. Lo racconta una radiologa della clinica Piacenza del gruppo Sanna, dove adesso sono in malattia ben 150 operatori su 250. Alcuni di loro si sono ammalati poco prima che a Codogno venisse diagnosticato il primo caso ufficiale di Coronavirus.

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Quell’anziano, poi deceduto e solo dopo risultato positivo, potrebbe essere il paziente numero uno, secondo l’inchiesta di Report di Sigfrido Ranucci in onda questa sera su Rai3.


Uno dei medici della clinica accusa i primi sintomi lo stesso giorno della diagnosi di Codogno, un chirurgo che ha operato fino al 12 febbraio viene contagiato ma lo scopre dieci giorni dopo a Tenerife. E in un’altra clinica del gruppo, la Sant’Antonino, il 17 febbraio un altro anziano viene portato via dal 118 e poi risulta positivo. Ma nessuno dà l’allarme nonostante nella zona, già da fine dicembre, fosse stato registrato un anomalo incremento di polmoniti particolarmente virulente e refrattarie alle cure. Nessuno cerca il virus.

E Report scopre che il 22 gennaio una circolare del ministero della Salute dà due indicazioni: cercare nei pazienti sospetti un link con la Cina ma anche una polmonite che non risponde alle cure.

Questo secondo punto scompare in una circolare di cinque giorni dopo per ricomparire solo il 9 marzo. E nel frattempo il virus dilaga cogliendo l’Italia impreparata.

Il piano nazionale contro le pandemie è vecchio di dieci anni. Avremmo dovuto aggiornarlo ogni tre anni, raccomandava l’Oms, per essere pronti a ridurre l’impatto del virus sui servizi sanitari e sociali, tutelare medici e strutture ospedaliere, laboratori, farmacie, forze dell’ordine.

Avremmo dovuto predisporre dispositivi di protezione, fare scorta di antivirali e kit diagnostici. E invece non abbiamo neanche le mascherine. Il piano doveva essere coordinato dal ministero della Salute, dalle Regioni e dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, diretto da Claudio d’Amario. Ma prima di lui c’era Raniero Guerra, oggi ai vertici dell’Oms.

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