MILANO – Un anno elettorale per Donald Trump e alcuni dati che iniziano a incrinare le certezze di Xi Jinping: molti ci vedono forti elementi di realpolitik, piuttosto che una alta riflessione sul senso delle relazioni internazionali, sta di fatto che il disgelo tra Usa e Cina pare procedere senza intoppi. Alla vigilia della giornata che dovrebbe sancire la firma sulla fase 1 dell’accordo commerciale, inizio di un percorso che entrambe le diplomazie ricordano che sarà ancora lungo e di vasta portata, arriva un riavvicinamento anche sui mercati dei cambi. L’amministrazione Trump ha infatti deciso, lunedì, di rimuovere l’accusa di “manipolatore della valuta” mossa alla Cina dallo scorso agosto, cosa che non avveniva dai tempi di Clinton, riconoscendo il mantenimento dell’impegno a non effettuare svalutazioni competitive.
Non ci sono dunque al momento partner commerciali che rientrano nella più nera delle liste Usa, anche se restano venti osservati speciali tra i quali è stata aggiunta la Svizzera, che si trova in compagnia – tra le altre – anche di Germania e Italia. Il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, nel dare l’annuncio di questo passo ha fatto riferimento diretto all’accordo di fase 1 “che rappresenta una grande opportunità per le imprese e i lavoratori americani”. Proprio nell’ambito delle trattative per siglare l’intesa, segnalano le 45 pagine di documento dedicato alle problematiche valutarie, sono arrivati gli impegni di Pechino a non toccare il cambio.
Come si diceva, altri dati pubblicati questa volta in Asia possono aver contribuito a portare tutti a miti consigli: è emerso infatti il saldo 2019 del surplus commerciale verso gli Usa, fermo a 295,8 miliardi di dollari e con un calo dell’8,5% su base annua in scia alla guerra dei dazi. Secondo i dati diffusi dalle dogane cinesi, l’attivo di dicembre verso gli Stati Uniti si è attestato a 23,18 miliardi, in calo rispetto ai 24,6 miliardi di novembre. Nel complesso l’export cinese è cresciuto sì dello 0,5%, ma in netta frenata dal +9,9% dell’anno precedente.
Tra le attese per la firma e le riflessioni su questi dati, le Borse si sono mosse incerte in Asia e anche i future in Europa sono in ordine sparso.
La Borsa di Tokyo è riuscita a chiudere la prima seduta della settimana (ieri era rimasta ferma per festività) con segno positivo: +0,73% a quota 24,025.17, con un aumento di 174 punti. Sul mercato valutario lo yen si va ancora indebolendo sul dollaro, complice il venire meno dell’appetito per i beni rifugio, assestandosi poco sopra a un livello di 110, e sull’euro a 122,60. Negativa invece Shanghai che ha perso lo 0,28 per cento. Ieri sera Wall Street ha chiuso in rialzo, con il Dow Jones in crescita dello 0,3% e il Nasdaq positivo di oltre un punto percentuale. Sugli scudi Tesla, capace di battere il record di 500 dollari per azione.
L’euro apre in rialzo sopra quota 1,11 dollari: passa di mano a 1,1139 dollari e 122,61 yen. Stabile lo spread tra Btp e Bund. Il differenziale tra titoli di Stato segna 154,4 punti, sostanzialmente lo stesso livello di ieri sera, con un tasso di rendimento del decennale italiano all’1,38%. In arrivo l’asta del Tesoro di Btp a 3, 7 e 20 anni per massimi 7 miliardi. Tra le pubblicazioni macroeconomiche si evidenzia la sola inflazione Usa, mentre comincia la stagione delle trimestrali dei pezzi grossi della finanza americana.
Tra le materie prime, infine, petrolio stabile in asia: i future sul Light Crude Wti sono sulla stessa linea della chiusura di ieri a 58,08 dollari al barile; in lieve rialzo quelli sul Brent a 64,28 dollari. Quotazioni dell’oro ancora in calo sui mercati internazionali con il raffreddarsi delle tensioni tra Usa ed Iran. Il lingotto con consegna immediata cede stamani lo 0,8% portandosi a 1.536 dollari l’oncia. In flessione anche i prezzi delle altre materie prime: dell’argento (-0,5%), del platino e del palladio.