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Cina, Pil del 2018 ai minimi dal 1990: pesa la guerra dei dazi con gli Usa

Gen 21, 2019

PECHINO – I numeri sono brutti, come da attese. Nell’ultimo trimestre del 2018 l’economia cinese è cresciuta del 6,4%, il passo più lento dal 2009, epoca di grande crisi globale. Per l’intero anno va in archivio un più 6,6%, non si viaggiava a marce così basse addirittura dal 1990. Ma se la locomotiva del Dragone rallenta, confermando la sua transizione verso una “nuova normalità”, per il momento non deraglia.

Alcuni analisti temevano un responso peggiore, vista la lunga serie di indicazioni negative che nelle scorse settimane erano arrivate da consumi, vendite di auto o iPhone, immobiliare, commercio con l’estero. Forse lo sperava Donald Trump, visto che avrebbe messo pressione su Pechino per chiudere a qualunque condizione un accordo sui dazi. A carte scoperte tirano invece un sospiro di sollievo i mercati asiatici, con una giornata che si intona in positivo.

Un’avvertenza è necessaria: i numeri del Pil nella Repubblica Popolare sono dati politici, quindi non del tutto affidabili. L’obiettivo di crescita fissato dal governo per il 2018 era il 6,5% (tre decimi in meno rispetto al 2017), dunque era una certezza che alla fine sarebbe stato raggiunto o, come oggi si scopre, addirittura superato. Scomponendo il prodotto interno nei suoi vari fattori, si rivelano in leggera crescita sia la produzione industriale che i consumi, questi ultimi sorvegliati speciali dopo il primo storico segno meno delle vendite di automobili nel 2018. Stabili (seppur a livelli assai bassi) gli investimenti, anche per effetto del mini stimolo varato dal governo già alla fine dello scorso anno.

A proposito di stimoli, negli ultimi giorni la leadership cinese ne ha approvato uno ben più generoso per il 2019, a base di investimenti e riduzione delle tasse per le imprese, mentre la Banca centrale, pur senza toccare i tassi di interesse, ha garantito una politica monetaria accomodante. Su una cosa però sia il governo che gli osservatori concordano, soprattutto guardando a come negli ultimi mesi si sia deteriorata la fiducia di aziende e consumatori: le cose andranno peggio, prima di andare meglio. “L’economia affronta delle pressioni al ribasso”, ha detto il capo dell’Ufficio nazionale di statistica presentando i numeri. Mentre gli analisti di Capital Economics si aspettano che la “crescita si stabilizzi” solo “nella seconda parte del 2019”.

Nel frattempo l’economia cinese rimarrà fragile e esposta agli choc esterni, a cominciare dalle bordate di una eventuale guerra tariffaria. Per questo Pechino ha bisogno di trovare un accordo, almeno temporaneo, con gli Stati Uniti, prima della scadenza della tregua sui dazi fissata al primo marzo. Il 30 gennaio Liu He, il braccio destro e capo negoziatore di Xi Jinping, sarà a Washington per un nuovo, forse decisivo, round di negoziati. Solo a quel punto il governo dovrebbe definire gli obiettivi di crescita per l’anno appena iniziato, attesi in una forchetta tra il 6,5% e il 6%. Mezzo punto che per la stabilità del Paese e della sua leadership, ma anche per le prospettive di crescita globali, fa tutta la differenza del mondo.

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