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Benzina, M5s e Lega varano il taglia-accise: 20 cent in meno al litro, 6 mld di buco per lo Stato

Mag 17, 2018

MILANO – Uno dei primi consigli dei ministri del governo Lega-M5s (“Il primo” aveva promesso in campagna elettorale Matteo Salvini) potrebbe approvare un taglio alle accise sui carburanti in grado di far calare fino a 20 centesimi al litro il prezzo della benzina per gli automobilisti, ma pure di aprire un buco vicino ai 6 miliardi nei conti dello Stato.

Il provvedimento è uno dei cavalli di battaglia del leader della Lega: “L’anno scorso – ha detto prima del voto – le accise hanno fruttato 27 miliardi e altri 12 l’Iva sulle accise, che sono la tassa sulla tassa. Io non dico leviamo tutto, ma abbiamo una accisa ancora per il finanziamento della Guerra in Etiopia, che credo sia finita da un bel pezzo”. Un impegno finito ora nero su bianco nel patto di governo con Luigi Di Maio che al capitolo 10 “Fisco” si impegna a “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sullla benzina”.

Quanto può valere il provvedimento per i consumatori? Dipende da cosa intende per “anacronistiche” l’esecutivo giallo-verde. Le accise – usate in passato per finanziare eventi straordinari dello Stato e mai cancellate dalla tariffa finale – sono la componente più pesante del prezzo dei carburanti: sulla verde valgono oggi quasi 73 centesimi al litro, sul gasolio quasi 62 centesimi. Quelle che risalgono al ‘900 (nate per finanziare le guerre in Abissinia, Bosnia e Libano, la crisi del Canale di Suez, la ricostruzione dopo i terremoti in Belice, Friuli e Irpinia, l’alluvione di Firenze e il disastro del Vajont) valgono circa 20 centesimi al litro. Unico problema: se il governo decidesse di togliere quelle del secolo scorso, aprirebbe una voragine nei conti pubblici: le accise sui carburanti hanno reso all’Agenzia delle entrate, nel 2017, 25 miliardi. Eliminarne circa un quarto vorrebbe dire cancellare dal bilancio dello Stato dalla sera alla mattina circa 6 miliardi, che andrebbero cercati altrove.

Fonte: Unione petrolifera

Fonte: Unione petrolifera

Nessuno, ovviamente, mette in dubbio che alcuni di questi dazi – guardando all’etichetta che li giustificano – siano del tutto fuori dal tempo. L’Italia, per dire, ha incassato lo scorso anno circa 37 milioni per finanziare una guerra in Etiopia che non c’è più da tempo. Le accise sui terremoti del ‘900 hanno generato entrate per 150 miliardi (265 annualizzati) contro i 70 che sono stati necessari secondo il Consiglio nazionale degli Ingegneri per la ricostruzione delle sette aree danneggiate Valle del Belice, Friuli, Irpinia, Marche/Umbria, Molise/Puglia, Abruzzo ed Emilia Romagna).

Questo tipo di imposte però sono state rese “strutturali” nel costo della benzina, eliminando ogni riferimento ai loro giustificativi, da un provvedimento del 1995 del governo Dini e dalla Legge di stabilità del 2013 che ha istituzionalizzato anche le accise del nuovo millennio, quelle approvate per finanziare il rinnovo del contratto dei ferrotranvieri nel 2004, l’acquisto dei bus ecologici nel 2005, il terremoto dell’Aquila del 2009, la cultura, l’alluvione in Liguria e Toscana, l’emergenza migranti, il terremoto in Emilia e il Salva Italia del governo Monti.


Il prezzo della verde nel Belpaese, causa pressione fiscale – è il quarto più alto d’Europa dopo Islanda, Norvegia e Paesi Bassi. In Spagna si pagano circa 30 centesimi in meno al litro, in Austria quasi 40, in Germania 15. Il prezzo di un litro di benzina medio rilevato dall’Unione petrolifera il 7 maggio 2018 era pari a 1,593 euro al litro. La materia prima – vale a dire il petrolio – pesa sul costo finale solo il 36%. Se gli automobilisti italiani non dovessero pagare tasse sul carburante, un litro di verde verrebbe 0,577 euro, uno di gasolio 0,588. La componente fiscale del prezzo finale è pari invece al 64%.

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